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Esami fantasma, pm
cercano prove anche
in altre facoltà

Università della Calabria

Tremano. E, intanto, aspettano. Sono sessantuno in tutto ad attendere con ansia il bivio dell’udienza preliminare, snodo decisivo che potrebbe aprire una crepa nelle loro certezze professionali. Sessantuno imputati che il prossimo venti maggio compariranno davanti al gup di Catanzaro per l’udienza preliminare. I pm Antonio Tridico e Alessia Miele li hanno inchiodati al ruolo di “falsi dottori” o di “laureati col... trucco”. I loro nomi sono affiorati dalle investigazioni della Digos di Cosenza. In mezzo a loro ci sono docenti e amministrativi dell’ateneo di Arcavacata e studenti con la pergamena rilasciata dall’Unical e già incorniciata a casa. Gente laureata in Lettere e Filosofia, tra il 2007 e il 2011, che avrebbe superato alcuni esami senza mai sedersi davanti a un professore. L’inchiesta condotta dalle Procure di Catanzaro e Cosenza da mesi prosegue l’esplorazione delle carriere universitarie anche all’in - terno di altre Facoltà perchè la trama ipotizzata dai magistrati è unica e segnerebbe la rotta cieca d’un sistema che, attraverso complicità interne, avrebbe agevolato gli studenti in difficoltà con la necessità di completare un percorso accademico tortuoso o, comunque, non agevole. Se questa chiave di lettura avrà forza e coerenza si potrebbe spalancare un nuovo varco nel fianco scoperto dell’Università della Calabria con l’individuazione di altri “furbetti”della laurea. Un effetto domino innescato dalla denuncia contro ignoti presentata dal rettore Giovanni Latorre. Un esposto dettagliato nel quale era condensata la storia d'un esame “fantasma”sostenuto il 18 luglio del 2007 da una studentessa iscritta alla facoltà di Lettere e Filosofia e in odor di laurea. Una prova da “27” della quale non era stata trovata traccia nè nei registri cartacei del corso di laurea in Filosofia e nè nell’archivio digitale. Di quell’esame rimaneva l’impronta solo sul pezzo di carta finito in segreteria per la registrazione. L’unico in grado di sbrogliare quella matassa ingarbugliata sarebbe stato il docente titolare dell’insegna - mento. E così la pratica venne girata, dal personale tecnico, al preside della Facoltà, il professor Raffaele Perrelli, per sentire il cattedratico al quale si riferiva la sigla in calce allo statino e capire dal diretto interessato perchè quell'esame non risultasse registrato. Al professore, però, bastò dare un’occhiata a quella firma per scoprire il falso: «No, non è la mia firma». Falso il certificato e falso pure l’esame. E così, il rettore, dopo essersi consultato con il capo dei pm cosentini, Granieri, inviò in Procura un dettagliato esposto contro persone non note. Da quella denuncia partì l’inchiesta che attende il vaglio del giudice dell’udienza preliminare. E mentre i sessantuno imputati, coinvolti dallo scandalo, aspettano il 20 maggio per difendersi da quelle accuse, a vario titolo, di falso e introduzione abusiva nel sistema informatico dell’Ateneo, gl’investigatori della Digos continuano a scavare tra migliaia di atti per cercare le prove di altri ipotetici imbrogli consumati a spese di chi la laurea se l’è sudata, consumandosi, di giorno e di notte, su libri e dispense per superare gli esami previsti dal piano di studio. Ragazzi e ragazze che hanno sgobbato davvero. Studenti in sede e fuori sede che hanno avuto la possibilità di conseguire il titolo accademico grazie anche ai sacrifici delle famiglie. Un “pezzo di carta” che, evidentemente, i “furbetti” avrebbero scelto di conseguire attraverso un percorso più semplice. L’inchiesta dei pm Tridico e Miele è contenuta in 136 i faldoni gonfi di documenti che i detective della Digos hanno acquisito negli uffici dell’Area didattica dell’ateneo, senza contare le consulenze tecniche sulle firme apposte in calce agli statini e i verbali d’interrogatorio. Un’inchiesta monumentale che attende ora il vaglio del gup.

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