Sono morti l’uno dopo l’altro, in una notte gelida, nel cuore di Cosenza. Sono morti l’uno accanto all’altro, uniti dalla disperazione. La loro storia è finita in via 24 Maggio, in un vecchio palazzo, sfinito dal tempo. Se li è mangiati il fuoco. Si è salvato solo Adì, l’unico sopravvissuto alla strage. In tre sono rimasti imprigionati tra le fiamme assassine, forse non si sono neppure accorti della morte che arrivava. Erano compagni di Adì. Due uomini e una donna. Proprio lei, la femmina, una tunisina di 59 anni, Abdel Kadir Melouk, è l’unica delle vittime certe. Nella sua borsetta, affiorata dalle macerie, c’era il permesso di soggiorno. E, come Adì, anche lei s’era fermata a passare la notte in quel rifugio dopo aver perso l’ultimo autobus. Adì non era riuscito a rincasare a Rende, lei, a San Bendetto Ullano. La Melouk viveva lì, ospite di una casa famiglia, la “Nostra Regina di Guadalupe”, dove per tutti era solo “Fatima”la tunisina. Un pezzo della sua sua famiglia è qui, una figlia dimora all’Oasi francescana, un figlio è a Paola. Gli altri due nordafricani uccisi dal fuoco sarebbero due marocchini. Il più giovane è Mourad Gamgam, 42 anni, da almeno sei a Cosenza, senza una fissa dimora, senza un lavoro e, probabilmente, senza un futuro. In quella tana era arrivato insieme a Massaouda Mazni, la cui età non è ancora certa, ma dovrebbe aggirarsi sulla cinquantina. Le loro identità, per adesso, sono semplicemente presunte. Una cautela che resterà fino all’esito dell’autopsia. La Procura ha affidato l’incarico al medico legale Berardo Cavalcanti e all’anatomopatologo Vannio Vercillo. I due consulenti andranno alla ricerca di prove sui resti mortali di quei tre disperati. Nelle mani del pm Domenico Assumma, che coordina l’inchiesta, c’è già un primo rapporto firmato dal capo della Sezione criminalità organizzata della Mobile, il sostituto commissario Gianfranco Gentile. Un dossier nel quale è ricostruita l’ipotetica dinamica dell’orrore. Il fuoco sarebbe stato provocato dal surriscaldamento del cavetto utilizzato per l’allaccio abusivo alla rete elettrica esterna. Un collegamento che serviva ad alimentare due stufette e un fornellino, il minimo indispensabile per sopravvivere al gelo della notte. Sono morti tutti e tre, solo Adì s'è salvato perchè dormiva al piano di sopra dove le fiamme non sono arrivate. Li ha visti già morti i suoi compagni che s’erano rintanati tutti in quella stanza sporca, riparandosi su tre materassi lerci messi l’uno accanto all’altro. Il fuoco non ha lasciato niente. Ha inghiottito quei tre corpi e tutto il resto, senza lasciare tracce di vita. L’esame necroscopico svelerà anche l’ora del decesso che sicuramente verrà collocata dopo le 2.30 quando uno dei vicini ha raccontato d’essersi affacciato per fumarsi una sigaretta e d’aver sentito le voci di quella gente rintanata nel vecchio palazzo di via 24 Maggio. Le 2.30 della notte tra venerdì e sabato rappresentano, dunque, lo spartiacque certo tra la vita e la morte dei tre nordafricani. Parlavano ancora, poi, il silenzio prima dell'inferno. È la tragedia degli ultimi che ha scosso Cosenza. Il sindaco Mario Occhiuto ha preannunciato il lutto cittadino per il giorno dei funerali (forse già domani) mentre il leader del Movimento “Diritti civili”, Franco Corbelli, parla di «tragedia che si poteva e doveva evitare e di sconfitta di tutti, della città, delle istituzioni, della società civile» e si dice pronto a contribuire alle spese dei funerali e dei costi per il rientro delle salme nei loro paesi d’origine. Per Corbelli, «la strage dei clochard morti carbonizzati nel cuore di Cosenza è l’altra faccia della realtà del nostro tempo: è la condizione assoluta povertà degli immigrati, è il dramma legato all’immigrazione. Un fenomeno, le tragedie degli immigrati poveri, che si preferisce far finta di non vedere».
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