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Bambine adescate sul
web, due nuovi casi

  La storia di Maria e di Anna (i nomi, naturalmente, non sono quelli veri, ndr) è identica a tante altre vicende di ragazzini inquieti, abili navigatori nell’oceano virtuale di internet. Sono giovani e, per questo, ingenui e facilmente suggestionabili. Proprio come Maria e Anna, due ragazzine senza problemi, famiglie solide alle spalle, rendimento normale negli studi, tanti amici, interessi diversificati. Eppure, sono finite nei guai, navigando sul web, schiacciate da quel disagio invisibile che s’è abbattuto come un flagello sulle loro tenere esistenze. Fanno parte di quella galassia fragile dei giovani, adulti con la faccia di bambini. Sembrano tutti uguali, creati con il medesimo stampo. Parlano solo in chat e comunicano con il mondo intero. Raccontano le loro emozioni, i loro pensieri, le loro idee, confessano i loro segreti ma lo fanno solo su internet. Navigano tutto il giorno nell’etere quasi fosse un gioco, un divertimento. Ridono e scherzano a colpi di mouse o con i telefonini. Facebook, Badoo e le altre agorà virtuali permettono di dialogare col mondo intero. I social network si sono sostituiti negli ultimi tempi ai vecchi schemi relazionali dando vita a una società muta, che non sa più parlare. Una società che sa solo messaggiare. La rete è diventata un mondo alternativo a quello reale, un mondo possibile, ma anche un mondo pieno di rischi. Tante, troppe trappole sono nascoste nel cyberspazio. L’inchiesta che martedì mattina ha portato Antonio Scaglione e Luigi Caruso in carcere e gli altri tre ventenni ai domiciliari (ieri sono cominciati intanto gl’interrogatori di garanzia) ha toccato le corde più intime di padri e madri di adolescenti con la passione per internet. L’angoscia è entrata nelle loro vite. E così, ieri di buon mattino, negli uffici della Sezione della Polposta, si sono presentati i genitori di due ragazzine, una di quindici e l’altra di sedici anni, due giovani legate proprio dal tempo trascorso sul web. Tante, troppe ore sbriciolate davanti al monitor del computer, in chat con sconosciuti. Mamme e papà hanno confessato le loro paure e hanno chiesto d'indagare perchè temono che quelle loro figlie così emancipate possano mettersi nei guai. E quei loro esposti contribuiranno ad allargare l’esplorazione d’un fenomeno che coinvolge tutta la galassia giovanile. Padri e madri si mostrano sempre più preoccupati per le sorti delle loro figlie dopo aver scoperto quello che può accadere nel chiuso delle stanze delle loro figlie. Ragazze che come tante altre non avvertono il pericolo, non sentono il bisogno di uscire da quel mondo per ritornare in questo mondo, quello delle cose reali, delle certezze. Un gioco al massacro di fronte al quale i genitori non sembrano avere più armi. E persino i professori sono impotenti davanti ai silenzi dei loro allievi. Non è facile entrare in quel loro habitat, non è semplice essere accettati da adulti. Una delle insegnanti di Maria e Anna c’era riuscita, era stata accettata nella lista degli amici di Facebook. E qualcosa forse sapeva, ma davanti ai detective del sostituto commissario Tiziana Scarpelli avrebbe negato. Una reticenza che non aiuta certo a creare gli anticorpi sociali per fermare questo virus che sta contagiando i più giovani. L’inchiesta sugli atti sessuali compiuti dagli “uomini neri” su quelle due bambine è coperta da comprensibili silenzi. Ma proprio la trama esplorata dal pm Paola Izzo e dagli 007 telematici del primo dirigente Maria Giovanna Rizzo consolida le ipotetiche ragioni di questa deriva sociale già emerse in altre indagini. Tutte identiche, con i più piccoli che si lasciano irretire dai “lupi” che si nascondono dietro un nickname spesso fasullo per allacciare i contatti. Non c’è ceto sociale, non c’è professione o livello culturale. C’è solo il vizio che spinge gli adulti a dare la caccia alle tenere prede sul web. Adulti spesso insospettabili come quel professore universitario che era tra i contatti più frequenti nelle chat di quelle due bambine. E dialogando con Maria, che sembrava titubante davanti all’età del suo interlocutore, il cattedratico l’avrebbe tranquillizzata: «Non preoccuparti, l’età non conta se c’è l’amore...». Tante amicizie, tanti contatti, molti commenti.Masolo con quei sette 5 adulti e 2 minori) ci sarebbero stati rapporti di tipo sessuale accertati dagl’investigatori. Ma ci sono altri rischi, altri timori che agitano i sonni dei genitori. Ci sono ragazzine “inquiete”, ad esempio, che si esibirebbero senza veli in cam davanti a una pletora di cyberdepravati, per una ricarica telefonica. Dieci, al massimo, 20 euro per uno spettacolino a “luci rosse” offerto a padri di famiglia, imprenditori, professionisti insospettabili, gente disposta a scucire la “paghetta” per un quarto d’ora di turpe divertimento.

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