Il pentito scampato alla trappola. Roberto Violetta Calabrese, 49 anni, sapeva di dover morire. I segnali erano precisi, le “voci” inconfondibili. Qualcuno – come si dice in gergo mafioso – l’aveva già «posato ». Era solo questione di tempo: giorni, forse qualche settimana. Un vecchio amico l’aveva pure avvisato: “cambia aria che fai una brutta fine!”. A Calabrese piacevano gli affari sporchi. Lui con i soldi ci sapeva fare, era abituato a farli fruttare come gli alberi. I carabinieri l’avevano già capito quindici anni addietro conducendo una articolata indagine – “Usura 2” – che l’aveva lambito. Ora, però, Calabrese s’era messo a manovrare denaro delle cosche e con amici e “compari” governava il mercato parallelo dei finanziamenti illegali nell’area compresa tra Cosenza, Rende, Montalto, Castrolibero e Mendicino. Una vita comoda la sua, ma rischiosa. Una vita che diventa particolarmente pericolosa soprattutto quando si vuol strafare, oppure quando si sbaglia a investire soldi che scottano. Soldi dei boss che, poi, bisogna restituire altrimenti si finisce “in pasto ai pesci”.
Caricamento commenti
Commenta la notizia