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I boss lasciano “Skype”
e usano “WhatsApp”

I colloqui segreti dei padrini. La ‘ndrangheta ha da qualche tempo cambiato le sue strategie operative di comunicazione. Per mantenere i contatti tra boss e compari, affiliati e familiari è stato scelto uno strumento nuovo e diffuso, frutto della efficace tecnologia israeliana: il “WhatsApp”. Si tratta d’un sistema che consente un frequente e veloce scambio di messaggi tra possessori di smarth- phone. I mafiosi nostrani hanno scelto di utilizzarlo perché non è intercettabile. Prima di approdare ai messaggi, gli ‘ndranghetisti adoperavano il BlackBerry che per lungo tempo non è stato “ascolta - bile”. Poi, scoperto che gli “sbirri” avevano trovato la chiave per spiare le telefonate, sono passati a “Skype”. E così, approfittando della gratuità e riservatezza dei colloqui assicurata dall’uso di un semplice computer, hanno per mesi parlato di guerre e affari da un angolo all’altro del pianeta. Quando, però, anche questo strumento di comunicazione è apparso insicuro, hanno scelto la messaggeria inventata a Tel Aviv. «È impressionante –spiega lo scrittore Antonio Nicaso – come gli ‘ndranghetisti siano veloci nel modificare le loro abitudini, nell’adattarsi a nuovi contesti, nell’adeguarsi alla modernità e ad approfittarne. L’uso di WhatsApp ne è la prova più evidente ». Nicaso, impegnato in questi giorni all’Unical come docente in un corso sulle criminalità transnazionali, rivela pure l’esistenza di un altro nascosto sistema che i mafiosi calabresi starebbero utilizzando per comunicare. Un sistema esistente sulla rete ma accessibile solo disponendo di una buona “guida” in grado di fare da apripista. «Si tratta di “undernet” e di “darknet”–conferma Nicaso – reti presenti su internet, già operative, e delle quali gran parte della popolazione mondiale disconosce l’esistenza». Anche in questi oscuri mondi informatici, i criminali calabresi (e non solo) avrebbero trovato spazio e convenienza. Che esponenti di vario livello della ‘ndrangheta adoperassero “Skype” era invece abbondantemente emerso in inchieste sul narcotraffico condotte dal procuratore aggiunto di Reggio, Nicola Gratteri, negli anni scorsi. L’uso di Facebook appariva, invece, in indagini coordinate dall’ex pm della Dda di Catanzaro, Sandro Dolce, e culminate nell’arresto del latitante crotonese Pasquale Manfredi. Sul social network l’uomo si faceva chiamare “ Scarface”. L’utilizzo del BlackBerry era stato invece fatale, lo scorso anno, al calabrese Vittorio Mirarchi arrestato nella veste di corresponsabile, a Montreal, dell’omicidio del boss Salvatore Montagna, padrino della famiglia Bonanno di New York. Mirarchi pensava di non essere intercettabile e, invece, è rimasto fregato...

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