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Il boss Ettore Lanzino
assolto da tre omicidi

Il volto imperturbabile di Ettore Lanzino, capo carismatico della ‘ndrangheta bruzia, tradisce un ghigno beffardo. “Ettaruzzu”, tornato in galera nel novembre scorso dopo tre anni di latitanza, incassa infatti un’assoluzione che allontana, forse per sempre, l’incubo del carcere a vita. Il gup distrettuale di Catanzaro, Gabriella Reillo, l’ha infatti assolto dall’accusa di aver ordinato tre omicidi. Delitti di “riassetto” del potere mafioso compiuti nell’alta Calabria nel 2000. Il superboss è stato ritenuto estraneo all’uccisione di Enzo Pelazza, avvenuta a Carolei, il 28 gennaio di tredici anni addietro, di Antonio Sena, ammazzato il successivo 12 maggio a Castrolibero, e di Antonio Sassone, trucidato a Terranova da Sibari nelle settimane successive. La procura distrettuale aveva, al contrario, sollecitato la condanna del padrino, sempre schivo e silenzioso, all’ergastolo. Lasciano la scena giudiziaria del processo “Terminator 4” con un’assoluzione piena anche Roberto Porcaro e Biagio Barberio, quest’ultimo inzialmente ritenuto correo nel delitto Sassone. Per concorso negli agguati tesi invece a Vittorio Marchio, il 26 novembre del 1999 ed Enzo Pelazza, è stato condannato a 30 anni di carcere Mario Gatto, “uomo di rispetto”della ‘ndrangheta bruzia già comparso in altre indagini condotte dalla magistratura antimafia nel Cosentino. Sedici gli anni di reclusione comminati a Walter Gianluca Marsico, pure lui indicato dal pm Pierpaolo Bruni come corresponsabile della tragica fine fatta fare a Marchio, conosciuto negli ambienti investigativi come il “bandito in carrozzella”. Il magistrato giudicante ha poi ritenuto sussistente un’associazione di stampo mafioso nella porzione di territorio compresa tra i fiumi Crati, Busento e Campagnano, condannando Francesco Patitucci, Michele Di Puppo e Salvatore Ariello a sei anni di carcere; Pilerio Giordano a sette; Giovanni Di Puppo a tre e il pentito Angelo Colosso, detto “Poldino” a 6. Tutti gl’imputati che si sono sempre protestati innocenti sono stati difesi da un agguerrito e qualificato collegio difensivo formato dagli avvocati: Luca Acciardi, Giuseppe Bruno, Sergio Rotundo, Paolo Pisani, Marcello Manna, Pino Perri, Gianluca Garritano, Filippo Cinnante, Luigi Gullo, Angelo Pugliese, Cesare Badolato, Antonio Ingrosso e Giuseppe Malvasi. La vicenda processuale appena conclusa era saldamente ancorata alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia. Angelo Colosso è stato il pentito che ha contribuito più degli altri ad alzare il velo sulle ombre di quegli anni di sangue e morte. “Poldino” (che è difeso dall’avvocato Emanuela Capparelli) s’è attribuito pure delle responsabilità nel delitto di Antonio Sassone, raccontando d’aver preso in consegna l’auto, una Fiat Uno verde, destinata poi ai killer. E sempre lui ha messo a fuoco la metamorfosi della ’ndrangheta che sette anni fa rinunciò a combattersi. Niente più morti ammazzati per le vie per essere più forti di prima gestendo racket, usura e droga. Le cosche si confederarono – questa la tesi della Dda di Catanzaro – allestendo una cassa comune (la “bacinella”) nella quale fecero confluire tutti i soldi guadagnati gestendo gli affari sporchi. Gli occhi famelici di boss e picciotti si concentrarono sul “pizzo” che venne imposto a tappeto a piccoli e grandi imprenditori. La realizzazione d’imponenti opere pubbliche offrì l’occasione per drenare grandi quantità di denaro poi reinvestite in usura e stupefacenti. L’area compresa tra Cosenza, Rende, Montalto, Mendicino, Castrolibero, Paterno e Piano Lago venne presidiata militarmente metro per metro. E tutti quelli che si opponevano al nuovo “ordine” eliminati senza pietà. Una tesi, quest’ultima, parzialmente smentita tuttavia dagli ultimi pronuciamenti giudiziari.

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