Un vecchio casale in muratura circondato da palazzoni che si alzano in mezzo a Cosenza. Un casale sfinito, sfiancato dagli anni, chiuso da una porta in legno, serrata da una catena e un lucchetto, che in una notte fredda e umida di marzo, era stato scelto come tetto da quattro migranti. Quattro disperati che cenarono insieme prima di rintanarsi in quel covo. Uno solo di loro scelse d’andare a dormire al piano di sopra e si salvò. Gli altri tre furono uccisi dal monossido di carbonio. Il fumo gonfiò i loro polmoni e invase i loro corpi mentre dormivano. “Fatima”, Gamgami e Mazni passarono dal sonno alla morte, senza soffrire, senza accorgersi di nulla. Per due mesi è rimasta una storia di miseria e di mistero. Per due mesi il pm Domenico Assumma ha ordinato ai detective della Mobile, guidati dal commissario capo antonio Miglietta, di esplorare scenari alternativi, di verificare ipotesi diverse da quello della disgrazia. Ma dal casolare al civico 24 di via 24 Maggio non emerso altro di ciò che le indagini scientifiche e il rapporto dei vigili del fuoco non avessero già certificato. Una tragedia che non è giallo, è la sciagura di tre disperati, morti per asfissia mentre dormivano. Avevano paura di morire dal freddo e sono morti per intossicazione da monossido. Uccisi da quei vapori tossici liberati dalla combustione di quella miseria presente in ogni angolo di quel tugurio. Abdel Kadir Melouk, detta “Fatima”, 59 anni, Mourad Gamgami, 42 anni, e di Mazni Massaouda, 50, dormivano mentre il fuoco si mangiava tutto, comprese le loro vite. Un rogo provocato dal surriscaldamento del cavetto troppo piccolo allacciato alla rete pubblica esterna per alimentare due stufette e un fornellino. La fiammella avrebbe innescato il rogo che si sarebbe mangiato tutto quello che c’era intorno prima di raggiungere i materassi sui quali i tre si erano addormentati dopo aver trascorso la serata insieme. Due mesi dopo, l’inchiesta sulla morte di quei tre disperati è finita in archivio. Il capo dei pm cosentini, Dario Granieri, e il suo sostituto Assumma hanno firmato le autorizzazioni alla sepoltura delle vittime. Ed è probabile che le salme verranno tumulate nei Paesi d'origine. Il vecchio casolare, ancora sotto sequestro, verrà restituito al proprietario. Sarà l’ultimo adempimento prima di far calare il sipario sulla vicenda giudiziaria. I riflettori resteranno, invece, accesi sul problema dell’integrazione. Il sacrificio dei tre nordafricani, infatti, non dovrà essere dimenticato, dovrà diventare una pietra miliare nei processi di integrazione che sta vivendo Cosenza. L’orrore è contenuto nei verbali della Mobile. Quella notte solo Adì si salvò perchè dormiva al piano superiore dove le fiamme non arrivarono. Li vide già morti i suoi compagni che s’erano rintanati tutti in quella stanza sporca, riparandosi su tre materassi lerci messi l’uno accanto all’altro. Il fuoco non lasciò nulla. Adì ricorda ancora tutto dell’orrore. «Era la prima notte che dormivo lì. Io vivo a Rende. Quella sera eravamo stati a bere insieme. Avevamo fatto tardi e l’ultimo autobus era già passato. Così ci sono fermammo a passare la notte in quella casa. Loro giù e io al piano di sopra». Adì è stata la chiave utilizzata per arrivare a una verità affiorata lentamente. L’uomo che guidò i poliziotti alla soluzione del giallo.Il primo indizio venne ripescato dalla borsetta della donna. Dentro fu rinvenuto il permesso di soggiorno di Abdel Kadir Melouk. E, come Adì, anche lei s’era fermata a passare la notte in quel rifugio dopo aver perso l’ultimo autobus. Adì non era riuscito a rincasare a Rende, lei, a San Bendetto Ullano. La Melouk viveva lì, ospite di una casa famiglia, la “Nostra Regina di Guadalupe”, dove per tutti era solo “Fatima” la tunisina. Un pezzo della sua sua famiglia è qui, una figlia dimora all’Oasi francescana, un figlio è a Paola. Gli altri due nordafricani uccisi dal fuoco erano marocchini. Il più giovane è Mourad Gamgam, da almeno sei anni viveva a Cosenza, senza una fissa dimora, senza un lavoro e, probabilmente, senza un futuro. In quella tana era arrivato insieme a Massaouda Mazni anche lui uno degli “invisibili” che popolano la nostra terra. Tre storie di miseria umana, storie che sono state cancellate dal fumo assassino in una notte fredda e umida di inizio marzo. Una tragedia che, dopo due mesi, non ha più misteri.