Cosenza

Mercoledì 27 Novembre 2024

Delitti decisi
come nelle arene
dell’antica Roma

È il memoriale d’un pentito di ’ndrangheta che non ha mai ricevuto la “santa”. «Non sono stato affiliato ai clan, non facevo direttamente parte dell’organizzazione. Ero, però, considerato un “uomo serio”, mi occupavo di prestiti a strozzo e qualche volta mi è stato chiesto pure di intervenire su alcune richieste di “pizzo”. Su quello che accadeva nei clan venivo spesso informato dai fratelli Castiglia, che erano miei amici. E grazie a loro sapevo sempre tutto ». Roberto Violetta Calabrese ha raccontato i suoi ventotto anni vissuti nella fornace del credito illegale, accanto agli “amici degli amici”, respirando sempre aria impregnata di piombo e di morte. «Personalmente, però, devo precisare che non ho mai partecipato a fatti di sangue» ha spiegato ai giudici della Corte d’assise di Cosenza (presidente: Antonia Gallo; a latere: Vincenzo Lo Feudo) davanti ai quali si celebra il processo contro uno dei presunti esecutori del delitto di Carmine Pezzulli, il “ministro delle finanze” della mafia delle ’ndrine cosentina, ucciso il 22 luglio del 2002, in viale Cosmai. Seguendo il filo logico delle domande del pm antimafia Pierpaolo Bruni, il collaboratore di giustizia, per la prima volta dal vivo, ha parlato della criminalità organizzata di ieri e di oggi. «Dal 1985 cominciai ad avere rapporti con persone che gravitavano negli ambienti della ’ndrangheta. Prima con Michele Bruni, successivamente con i fratelli Tonino e Mimmo Castiglia. Quando, verso la fine degli anni Novanta si cominciò a combattere la guerra di mafia, decisi di mettere molti chilometri tra me e Cosenza e andai a vivere tra Bologna e Firenze anche perchè in quel periodo avevo avuto un problema con Lanzino». Segreti di cupola che portano ai giorni più cruenti, quelli dei morti ammazzati. Tante le croci piantate nel cimitero della ’ndrangheta. Ogni agguato sarebbe stato deciso da una commissione formata dai boss e dai loro colonnelli, «dentro c’erano Lanzino, Cicero, Chiodo e Chirillo». Si votava col pollice come nelle arene dell’antica Roma. La vita e la morte d’una persona dipendevano da un gesto della mano di ciascun “quadrumviri” dei clan: «Il pollice all’insù significava che quella determinata persona era stata graziata. Rivolto verso il basso, invece, non avrebbe avuto scampo. Non so però quali siano stati gli omicidi decisi con questa tecnica». Violetta Calabrese esibisce la sua conoscenza di quel mondo nel quale non era mai ufficialmente entrato per sua scelta. Vagava ai margini masapeva tutto perchè c’era sempre qualcuno che gli soffiava la notizia. E ieri ha spiegato alleanze, parlato di “uomini d’onore”, a domanda ha risposto sempre, dimostrando di sapere molto. E ha fatto anche i nomi dei capi, quelli che stavano più in alto di tutti. «I mammasantissima di Cosenza erano Ettore Lanzino e Carmine Chirillo». Roberto Violetta Calabrese ha esplorato per ore i retroscena dell’inferno di quegli anni soffermandosi sull’agguato al “contabile” dei clan, quel Carmine Pezzulli che fu assassinato dopo aver fatto sparire i quattrini della “bacinella”. Un delitto per il quale è sotto processo Davide Aiello (che è difeso dagli avvocati Franz Caruso e Gianluca Garritano) considerato dalla Dda come uno degli ipotetici killer. «Quella mattina ero insieme a Pezzulli e a Tonino Castiglia ai campetti dell’“Azzurra”. Restammo lì per qualche ora, poi ci salutammo. Solo più tardi appresi che era stato ammazzato. Quattro o cinque giorni dopo, incontrai Mario Trinni in via Caloprese e mi svelò dei retroscena sul delitto che disse d'averli appresi da voci nella città. Mi disse che il mandante sarebbe stato Domenico Cicero mentre gli esecutori materiali sarebbero stati Aiello e Gianfranco Sganga. Io gli suggerii di non andare in giro a parlare di quelle cose se non ne era sicuro. Successivamente, però, tra il 2003 e il 2004, a casa dei Castiglia, mi vennero indicate le stesse persone con identici ruoli». Dalle macerie di quegli anni, il pentito ha ripescato pure un altro delitto: «Conosco i retroscena della morte di Primiano Chiarello». La sua “verità” si discosta da quelle già cristallizzate nei racconti di altri collaboratori di giustizia su quel ragazzo ucciso e fatto a pezzi, nel 1999. «Io so che Chiarello venne ucciso per una partita di droga non pagata. Eroina che avrebbe preso Michele Bruni il quale fu abile nell’attribuire la responsabilità dell’“ammanco” proprio al ragazzo scomparso. E sarebbe toccato poi a Franchino i’ Mafarda organizzare il suo omicidio».3

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