Antonio (il nome è di fantasia) voleva morire. Impiccato a un albero. Basta botte e mortificazioni e niente più angosce: la morte –pensava –l’avrebbe salvato. Il padre, l’ultima volta, gli aveva lacerato la milza a suon di calci e lui, a undici anni, era finito in ospedale dopo una notte di dolori indicibili trascorsa sul divano di casa. Ai medici del nosocomio di Cosenza le sorelle avevano raccontato che era caduto mentre andava in bicicletta. E quella bugia era stata peggio dei dieci giorni poi trascorsi tra flebo e infermieri ricoverato in prognosi riservata. Già, perché lui in bicicletta ci sapeva andare bene, meglio degli altri. Di tutti quei coetanei più fortunati che hanno un padre «normale», che non picchia, insulta e terrorizza come se fosse un «padrone». La bicicletta era la sua personalissima rivincita giocata silenziosamente contro il resto del mondo. Perciò, non aveva più voglia di vivere. La vita e gli affetti l’avevano tradito due volte. Così, quando è tornato a scuola, ha cominciato a parlare alla docente di Italiano del suo desiderio di farla finita. E la “prof” ha scoperto da dove veniva tutto quel disagio interiore. Così ha avvisato i carabinieri che hanno portato a termine una delicatissima indagine coordinata dal pm Paola Izzo e dal procuratore Dario Granieri. Al padre del minore il Gip ha imposto l’immediato allontanamento da casa.