“Se non facciamo l’atto al più presto, ti sparo. Però non ti ammazzo, ti lascio paralitico”. È un uomo sfibrato dal terrore a riferire ai carabinieri l’ultima minaccia, un imprenditore travolto dalla crisi che a causa di un prestito di 5mila euro s’è ritrovato al centro di un’interminabile escalation di violenza. La drammatica testimonianza di quell’uomo è alla base del decreto di fermo spiccato dalla Dda di Catanzaro ai danni di Roberto Porcaro, Alberto Fioretti, Antonio e Maurizio Basile. Un provvedimento che affonda le sue radici nel recentissimo passato. Il racconto dell’orrore è infatti datato 27 marzo 2014, meno di due settimane fa, il giorno in cui la vittima entra nella caserma dei carabinieri di Rende e racconta tutto agli uomini del capitano Luigi Miele e del tenente Giovan Battista Marino, diretti dal comandante provinciale Giuseppe Brancati. Dopo aver riferito i passaggi principali della vicenda, dall’ottenimento del prestito alle difficoltà nell’onorarlo fino alla richiesta di cedere delle armi in suo possesso fingendone il furto, l’imprenditore passa all’ultimo atto: «Per prendere tempo riferivo che ero intenzionato a vendere la casa per estinguere tale debito». A quell’abitazione si sarebbe così interessato (anche a titolo “risarcitorio” del debito vantato) Antonio Basile, disposto a spendere 50mila euro, una cifra molto lontana dall’effettivo valore di mercato.
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