Il volto imperturbabile di Ettore Lanzino, capo carismatico della ‘ndrangheta bruzia, tradisce una smorfia di disappunto. “Ettaruzzu”, tornato in galera nel novembre del 2012 dopo tre anni di latitanza, incassa infatti una inaspettata condanna. La corte di appello di Catanzaro (presidente Galati; a latere Giglio), l’ha infatti ritenuto responsabile di aver ordinato uno dei tre omicidi, compiuti nell’alta Calabria nel 2000, per ridisegnare le geometrie variabili del potere mafioso. Il superboss è stato ritenuto responsabile dell’uccisione di Enzo Pelazza, avvenuta a Carolei, il 28 gennaio di quattordici anni addietro. Lanzino, cresciuto a pane, piombo e galera negli anni “caldi” degli scontri tra clan, non è tipo da lasciarsi impressionare. “Il carcere - recita un vecchio adagio ’ndranghetista - non mangia i cristiani”. Eppure, dopo aver ottenuto l’assoluzione in primo grado, forse il padrino cosentino sperava d’aver scampato il pericolo d’una lunga carcerazione. In sede di rito abbreviato aveva, infatti, strappato un verdetto favorevole non solo in relazione al delitto Pelazza ma anche riguardo agli agguati costati la vita ad Antonio Sena, ammazzato il 12 maggio del 2000 a Castrolibero, e di Antonio Sassone, trucidato a Terranova da Sibari nelle settimane successive. In appello, invece, la situazione s’è parzialmente capovolta dopo l'articolata requisitoria del sostituto procuratore generale Salvatore Curcio. Le assoluzioni per gli omicidi Sena e Marchio sono state confermate ma per il delitto Pelazza è arrivato il verdetto di colpevolezza. Il “mammasantissima”, sempre schivo e silenzioso, ha ascoltato la lettura del dispositivo senza battere ciglio. Il suo destino passa ora nelle mani della Corte di Cassazione. Lasciano la scena giudiziaria del processo “Terminator 4” - così si chiama - con un’assoluzione piena invece Roberto Porcaro e Biagio Barberio, quest’ultimo inzialmente ritenuto correo nel delitto Sassone. Per concorso negli agguati tesi invece a Vittorio Marchio, il 26 novembre del 1999 ed Enzo Pelazza, è stato condannato a 30 anni di carcere Mario Gatto, “uomo di rispetto” della ‘ndrangheta bruzia già comparso in altre indagini condotte dalla magistratura antimafia nel Cosentino. Si complicano in appello le cose per Walter Gianluca Marsico, pure lui indicato come corresponsabile della tragica fine fatta fare a Marchio, conosciuto negli ambienti investigativi come il “bandito in carrozzella”, cui i giudici di seconda istanza hanno inasprito la pena da 16 a 30 anni. La Corte ha poi ritenuto sussistente un’associazione di stampo mafioso nella porzione di territorio compresa tra i fiumi Crati, Busento e Campagnano, condannando Francesco Patitucci, Michele Di Puppo e Salvatore Ariello a sei anni di carcere; Pilerio Giordano a 5 anni e sei mesi. Estraneo all'ipotizzato sodalizio delinquenziale è stato al contrario ritenuto Giovanni Di Puppo, condannato in primo grado a tre anni. Al pentito Angelo Colosso, detto “Poldino”, motore dell'accusa, sono stati inflitti 6 anni.