Cosenza

Martedì 30 Aprile 2024

Scacco ai signori
del racket

 I signori del pizzo. Presunti boss e picciotti del clan degli zingari che imponevano il racket a tappeto. «Hanni pagari tutti». E pagavano proprio tutti, anche con estorsioni di seconda mano perché erano costretti a versare il “fiore” pure i parcheggiatori abusivi che sono ovunque nell’area urbana e già di loro estorcono denaro agli automobilisti. Storie di vittime e criminali, di violenza e sofferenza. Storie di ’ndrangheta raccontate nelle oltre seicento pagine dell'ordinanza di custodia cautelare vergata dal gip distrettuale Giuseppe Perri su richiesta dei pm antimafia Pierpaolo Bruni e Vincenzo Luberto. Venti i destinatari dei provvedimenti cautelari: Maurizio Rango, considerato dagli investigatori al vertice del gruppo assieme a Franco Bruzzese, Luciano Impieri, Adolfo Foggetti, Gennaro Presta, Rocco Bevacqua, Attilio Chianello, Antonio Imbroinise, alias “ciap ciap”, Luca Maddalena, Giuseppe Curioso alias “bartolo” o “bartolomeo”, Mario Perri, Andrea Greco, Domenico Cafiero inteso come “Luca”, Alfonso Raimondo alias “cochino” e “giorgino”, Fabio Calabria, Gianluca Arlia. Introvabili e quindi sfuggiti alla cattura Daniele Lamanna, Ettore Sottile e Antonio Abbruzzese. Inizialmente s'era sottratto alla cattura pure Celestino Bevilacqua, alias Ciccio, che però ieri pomeriggio s'è consegnato alle forze dell'ordine. La mancata cattura dei quattro ha fatto pensare che una talpa li abbia avvisati. Ma il procuratore aggiunto della Dda catanzarese, Giovanni Bombardieri, ieri nel corso della conferenza stampa svoltasi nella procura di Catanzaro per illustrare i dettagli del blitz, ha affermato: «Non c'è una talpa ma ci risulta una fuga di notizie che può essere ricondotta al fatto che erano noti i collaboratori che stavano facendo dichiarazioni». Assieme al procuratore capo Vincenzo Antonio Lombardo, l'aggiunto ha poi sostenuto che «allo stato non ci sono collegamenti diretti tra l’operazione di oggi ed il progetto di attentato» ai danni del pm della Dda Pierpaolo Bruni. Un'ipotesi emersa nei giorni scorsi per le rivelazioni di un collaboratore di giustizia. Il procuratore Lombardo e il suo aggiunto hanno dialogato coi cronisti insieme al comandante del reparto operativo dei carabinieri di Cosenza, Vincenzo Franzese, e al capo della squadra mobile bruzia, Giuseppe Zanfini. Perché il colpo al clan degli zingari è stato firmato a quattro mani da carabinieri e polizia, a dimostrare pure fisicamente la compatezza dello Stato nel contrasto alla criminalità organizzata. Sfogliando l'ordinanza di custodia cautelare emerge di tutto: la sofferenza delle vittime schiacciate dalle richieste estorsive che non danno pace e in alcuni momenti minacciano pure la serenità familiare, le modalità di richiesta del pizzo, le tariffe applicate, le tecniche per cercare di eludere controlli e indagini di forze dell'ordine e magistratura. La ricostruzione della procura antimafia ipotizza pure che gli uomini del clan occupavano abusivamente alloggi dell’Aterp temporaneamente disabitati, anche se regolarmente assegnati, per rivenderli a ignari acquirenti. In un caso il legittimo affittuario è stato minacciato di morte affinché si convincesse a lasciare la casa. Gli investigatori hanno accertato decine e decine d’episodi estorsivi solo a Cosenza e Rende. Ma non mancano casi nei centri del Tirreno e in particolare a Paola, dove gli inquirenti ricostruiscono, tra le altre, una tentata estorsione all’Associazione temporanea d'imprese titolare dei lavori per la realizzazione dello svincolo sulla Statale 18 per raggiungere il santuario di San Francesco. Molti episodi sono stati filmati dalla polizia. Colpisce quello in cui gli indagati hanno accompagnato uno degli imprenditori che non voleva saperne di pagare al cospetto del presunto boss Franco Bruzzese che oggi è detenuto ma all’epoca era latitante. Il capo della mobile ha stigmatizzato il numero esiguo delle denunce e soprattutto la scarsa collaborazione delle vittime. Il colonnello dei carabinieri, invece, ha sottolineato come tutti i boss delle cosche del Cosentino sono state sottoposti al regime detentivo del 41 bis 

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