Con la nuova deposizione dei periti della corte al processo in corso a Cosenza per l’omicidio di Roberta Lanzino si è di fatto chiusa l’istruttoria dibattimentale e ci si avvia alla conclusione. Il 16 aprile la requisitoria del pm, poi le parti e il 23 aprile la sentenza. Si va certamente verso una sentenza assolutoria dopo l’esito negativo delle comparazioni del DNA recuperato dai due esperti dei RIS di Messina, il maggiore Carlo Romano e il maresciallo Giovanni Marcì su incarico del presidente della corte Antonia Gallo, dall’analisi del liquido seminale individuato nel terriccio prelevato sotto la testa di Roberta Lanzino durante l’ispezione del cadavere e della scena del crimine il 26 luglio del 1988, il maledetto giorno in cui Roberta è stata violentata ed uccisa, reperto mai analizzato prima. Il profilo isolato non corrisponde né a quello di Franco Sansone, unico imputato né a quello dei genitori e dei figli di Luigi Carbone, il pastore scomparso per lupara bianca nel 1989, ritenuto complice di Franco Sansone nell’efferato omicidio della studentessa di Rende. Dunque anche questa volta la verità su chi ha ucciso Roberta si allontana. Comunque in mano agli inquirenti c’è un codice genetico che non è degli imputati, ma sicuramente dell’assassino o di uno degli assassini di Roberta perchè frammisto al sangue della vittima. Un esito che se da un lato scagiona Franco Sansone e chiude il processo in corso, dall’altro impone l’apertura di nuove indagini come evidenziato dal legale e dal consulente della famiglia Lanzino, l’avvocato Ornella Nucci e il criminalista Luca Chianelli. Indagini che saranno riaperte ha assicurato il procuratore di Paola, tribunale competente, Bruno Giordano. “Non posso ancora indicare con precisione tempi e termini – ci ha detto il capo della procura – ma è chiaro che bisogna aprire un nuovo fascicolo contro ignoti e ripartire. La giustizia non può e non deve tralasciare nulla”.
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