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Ventiseienne assassinato dopo una lite in discoteca

 Un colpo solo. Dritto alla spalla sinistra. Esploso un sabato notte dentro una palazzina d' un quartiere popolare. La morte non distingue la luce dal buio, i fine settimana dai giorni normali. Arriva e basta. E questa volta è arrivata travestita da pallottola calibro 9. Antonio Taranto, 26 anni, aveva trascorso la serata con amici a Rende e s’era fermato, prima di rientrare a casa, con della gente che conosceva. Forse due persone con le quali non andava d’accordo. Due uomini con cui aveva da ridire. Voleva mettere le cose in chiaro e loro non l’hanno presa bene. Alle iniziali concitate parole, si sono poi aggiunte le minacce e, quando è spuntata pure la pistola, Antonio ha tentato di allontanarsi. Ma non ce l’ha fatta. Un dolore lancinante e un bruciore fortissimo gli hanno fatto perdere l’equilibrio e interrompere il cammino. È stramazzato in fondo alle scale. S’è ritrovato con gli occhi persi tra le nubi scure che annunciavano l’alba ed i polmoni colmi di sangue che non pompavano più aria. Ascoltando i passi veloci degli attentatori che s’allontanavano, ha capito quanto poco gli rimanesse da vivere. Neppure ai poliziotti ed ai soccorritori è stato in grado di fare i nomi dei due uomini. Ha tentato di farfugliare qualche parola, ma non c’è riuscito. La sua esistenza è finita prima d’arrivare in ospedale. A sollecitare l’intervento del 118 è stato un trentenne che abita nel palazzo, interrogato a lungo dagli investigatori della Mobile. Al vicequestore Giuseppe Zanfini la versione dei fatti resa dall’uomo non è sembrata, tuttavia, del tutto credibile. Anche perché la rampa di scale della palazzina, posta al civico 133 di via Popilia dove Taranto è stato trovato agonizzante, è segnata da una sinistra scia di liquido ematico. Una scia che comincia davanti al pianerottolo del primo piano dello stabile dove l’uomo che ha lanciato l’allarme risiede. È come se la vittima fosse stata colpita proprio in quel punto dell’immobile e si fosse poi lentamente trascinata sino al piccolo androne d’ingresso. Ma chi ha sparato? Per capirne di più occorre seguire il percorso disegnato dalle indagini. Alla risoluzione del caso lavorano congiuntamente i poliziotti del questore Luigi Liguori e i carabinieri del Reparto operativo provinciale del colonnello Giuseppe Brancati. L’inchiesta è coordinata dai pm Antonio Tridico e Donatella Donato. Il primo dato certo acquisito dagli inquirenti è che Antonio Taranto sabato notte ha litigato con alcune persone in un locale notturno della cintura cosentina. S’ipotizza, pertanto, che l’omicidio possa essere una tragica, diretta, conseguenza del diverbio. E cioè che il ventiseienne sia stato chiamato all’alba ad un incontro chiarificatorio. Un incontro con persone che le forze dell’ordine ritengono di avere individuato e che sono state sottoposte ad esame stub. Taranto, che in passato aveva avuto qualche problema giudiziario, non era tipo da mostrarsi timoroso. Insomma, aveva fegato e non s’è sottratto al confronto. Certo, non immaginava di poter essere ucciso altrimenti avrebbe preso qualche precauzione. Il sospetto è che l’incontro possa essere avvenuto all’interno dello stabile. Ed è per questo che i pm Tridico e Donato – d’accordo con il procuratore Dario Granieri – hanno disposto il sequestro dell’appartamento davanti al cui ingresso sono visibili le prime macchie ematiche. Tutti i locali, oggi pomeriggio, verranno infatti passati al setaccio dalla Polizia scientifica con il “luminol” sostanza in grado di rendere visibili tracce di sangue anche su superfici ripulite. Nell’appartamento sarebbero state peraltro già individuate delle asciugamani con delle chiazze rossastre. Stasera tutto potrebbe essere più chiaro. Ultima curiosità. Sabato mattina Antonio Taranto era stato in questura per denunciare la storia paradossale di cui era stato involontario protagonista: qualcuno gli aveva rubato l’auto e, per effetto delle infrazioni stradali compiute dai ladri dopo il furto, alla fine gli era arrivata persino una multa a casa. Come dire: una doppia fregatura. Non può però essere il movente del delitto, né la causa del litigio scoppiata nel locale notturno. Forse, dietro la lite c’è pure altro. Vecchi rancori o nuovi interessi.

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