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Il carcere duro fa ammalare i nuovi boss della ’ndrangheta

 Sono malati, depressi, ansiosi. Sono più che altro intolleranti alle sbarre, afflitti da quel male oscuro che fermenta in galera. Malattie misteriose che, spesso, sono in grado di riaprire le porte dei penitenziari in cui vengono rinchiusi, anche in regime di “41 bis”. Il carcere, soprattutto quello duro, sfibra le loro menti e asciuga le loro carni. È come se i loro anticorpi perdessero improvvisamente efficacia rendendo quei loro corpi misteriosamente vulnerabili ai mali di ogni genere. È così che diventano tutti sofferenti i nuovi boss della ’ndrangheta, tutti intolleranti all’altro mondo, quello che si spalanca nelle carceri di massima sicurezza. Difficile reggere una vita così aspra, impossibile continuare ad amministrare il malaffare da una cella. Sono, soprattutto, loro, i freschi capi della ’n d r a ngheta a portare i segni dell’esistenza difficile dietro le sbarre. Negli ultimi tempi hanno manifestato intolleranza al “pane” dello Stato, due presunti califfi del clan degli zingari: Maurizio Rango e Daniele Lamanna.

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