Una intercettazione in carcere consente agli inquirenti di acclarare un tentativo di estorsione aggravata dalle modalità mafiose, ai danni di un macellaio di Rende. Una delle tante richieste, avanzate da esponenti della criminalità organizzata a commercianti, imprenditori, e poco importa se i loro affari vadano bene o meno come testimonia l’indagine dei carabinieri di Cosenza coordinati dal sostituto procuratore della DDA di Catanzaro, Pierpaolo Bruni, scaturita nella richiesta di tre fermi, uno dei quali eseguito, si tratta di Fabrizio Antonino Provenzano, 31 anni, originario di Reggio ma residente a Rende. Per gli altri due indagati, Mario Gatto, 46 anni, e Renato Mazzulla, 40 anni, non si è proceduto perché già detenuti. Ma come si è sviluppata l’indagine del pm Bruni? Il tutto sarebbe partito da un colloquio in carcere tra Adolfo D’Ambrosio,pregiudicato di Rende, condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, e il figlio. Quest’ultimo riferisce che un macellaio che conoscono, avrebbe ricevuto nell’ottobre dello scorso anno, la visita di Renato Mazzulla, finito in carcere qualche settimana dopo per altre tentate estorsioni, e condannato per favoreggiamento nei confronti del boss Ettore Lanzino, era stato bloccato vicino al covo dove si nascondeva il latitante, il quale gli avrebbe detto con fare deciso e minaccioso che era stato mandato a ‘prendere il regalo che bisogna pagare a Natale e Ferragosto’ (le due tangenti classiche). E alla rimostranza del macellaio che spiegava le difficoltà economiche in cui versava avrebbe risposto: ‘non mi interessa , devi pagare lo stesso’. Ulteriori particolari sarebbero poi emersi da un successivo colloquio in carcere. Scattate le indagini e i riscontri gli inquirenti del pm Bruni avrebbero appurato che Mazzulla avrebbe chiesto il pizzo per conto di Mario Gatto e Fabrizio Antonino Provenzano, il primo , esponente di spicco della cosca Lanzino, una serie di condanne per associazione mafiosa, e per gli omicidio di Antonio Sena e Vittorio Marchio, durante la guerra di mafia a Cosenza, il secondo indicato da numerosi collaboratori come organico alla stessa consorteria. Il macellaio messo di fronte all’evidenza ha dovuto ammettere la richiesta estorsiva e ha giustificato la mancata denuncia con il timore di ripercussioni sulla sua famiglia e la sua attività.
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