Erano considerati gli avanzi di quel grumo di potere disgregato dalla maxi-retata antimafia “Plinius”. Scarti di quell'impasto mefitico, di quell'intreccio tra ’ndrangheta e affari, che si era rigenerato come una cellula malata sul Tirreno cosentino. Dopo il blitz, Scalea si ostinava ad essere quella che era sempre stata, con “uomini d'onore” ancora padroni in quel pezzo di costa calabrese che sfuma verso il golfo di Policastro. Boss che comandavano sempre su quei territori terrorizzando la gente con le minacce. Un volto rinnovato della mafia, benedetto da Franco e Luigi Muto, i califfi di Cetraro. I nuovi capi di Scalea avrebbero garantito favori e intimità anche ai padrini campani. Legami privilegiati che spesso si trasformavano in business. Questioni giudiziarie, aste immobiliari, cause civili. Erano capaci di risolvere tutto, alla loro maniera, secondo l’unica legge conosciuta, quella mafiosa. Minacce, violenze e paura scandivano le loro “istruttorie”. Funzionava così a Scalea prima del blitz “Plinius” e funzionava ancora così, a due anni da quel terremoto giudiziario che aveva squarciato persino la casa comunale.
L'approfondimento nell'edizione in edicola della Gazzetta del Sud
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