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L’arsenale di Rende è di una cosca mafiosa

«La “soffiata” sull’arsenale non c’entra col delitto»

L’arsenale della ’ndrangheta. E l’omicidio dell’imprenditore. Due storie che giudiziariamente si dividono. Le indagini sulla montagna di armi ritrovata nel box di un complesso residenziale di Quattromiglia di Rende la sera del 26 aprile scorso diventa oggetto d’inchiesta da parte della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Mitragliette israeliane Uzi, fucili mitragliatori russi Kalashnikov, mitra americani Thompson e fucili a pompa italiani Beretta non potevano essere nascosti lì per opera di semplici sprovveduti. E non potevano, soprattutto, essere nella loro disponibilità per semplice spirito imprenditoriale. Gli strumenti offensivi da guerra non si comprano al mercatino rionale del sabato, né vengono ceduti al primo arrivato. Dunque, l’imprenditore Damiano Galizia, 31 anni, assassinato dall’editore e agente immobiliare Franco Attanasio, 34 anni, la sera stessa in cui l’arsenale venne scoperto non potevano ragionevolmente essere i reali acquirenti e possessori della “Santa Barbara”.

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