L’inchiesta sulla morte della piccola Cloe Grano merita necessari e ulteriori approfondimenti. Lo ha scritto il gip Francesco Luigi Branda che ieri ha risposto picche alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura nei confronti dei sei medici indagati per la tragica fine della bimba rendese di appena quattro mesi. Il giudice parla di «indagini incomplete». Un puzzle irrisolto soprattutto a causa dei differenti esiti delle consulenze tecniche presentate dalle parti. Il raffronto tra le perizie, tra cui quella redatta dal professor Alberto Villani, primario del “Bambino Gesù” di Roma, denunciato dai genitori della bambina, ha fatto emergere «incongruenze che – allo stato – non permettono di chiudere il procedimento con un provvedimento di archiviazione che sgombri il campo da ogni dubbio risolvibile sugli accadimenti». Un decesso tuttora avvolto da atroci dubbi per il quale sono finiti sott’inchiesta i dottori cosentini Luigi Carpino, Rosanna Camodeca, Maria Grazia Aceti, Gaetano Pugliese, Sofia Cristiani e Roberto De Rose.
Cloe morì nell’aprile 2014 al termine d’un indicibile calvario, entrando e uscendo dal pronto soccorso dell’Annunziata per quattro volte in pochi giorni. Solo all’ultimo ingresso il personale sanitario si accorse della gravità delle sue condizioni: la piccola fu spedita in sala operatoria ma un devastante arresto cardiaco mise in ginocchio le residue speranze di salvarla. Papà Dino e mamma Edyta non si diedero per vinti e dopo quattro giorni riuscirono a far trasferire d’urgenza la primogenita nel Santobono di Napoli. I medici partenopei capirono che la bambina era vittima di un’invaginazione intestinale, una sorta di attorcigliamento dell’intestino abbastanza comune nei lattanti. L’immediato intervento chirurgico riuscì alla perfezione, nulla però poteva essere fatto per l’imponente danno cerebrale causato dal prolungato stop del cuore. Cloe morì e i genitori affrontarono quel terribile momento con coraggio e altruismo, dando il consenso per la donazione degli organi.
Nelle indagini la Procura non ha ritenuto necessario ascoltare i medici partenopei. Lacuna che il gip Branda ora ordina di colmare: «L’individuazione della causa della morte, su cui gli esperti non concordano, appare pertanto essenziale, perché in ipotesi di occlusione intestinale, la diagnosi con una semplice ecografia e l’intervento anticipati avrebbero potuto determinare un differente e fausto sviluppo causale. I medici che hanno eseguito l’intervento in Napoli – prosegue il gip – potranno pertanto fornire informazioni essenziali sulla esatta individuazione della causa della morte, ed indicazioni utili a precisare - ove possibile - la data di insorgenza della patologia che ha innescato lo sviluppo causale». Insomma, i dottori del Santobono potrebbero chiarire quando e come si sarebbe potuto intervenire, dando la possibilità all’autorità giudiziaria di assegnare con precisione le eventuali responsabilità connesse alla morte di Cloe.
La decisione del gip è stata accolta con soddisfazione dall’avvocato Antonio Iaconetti che insieme ai colleghi Ferdinando Palumbo e Marafioti difendeno la famiglia Grano.
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Focus
Bene dopo tanto male
Cloe Grano morì nell’aprile del 2014. Sofferente e disidratata fu portata al pronto soccorso dell’Annunziata per quattro volte ma sempre rimandata a casa. Condotta in sala operatoria, fu olpita da un devastante arresto cardiaco. A situazione ormai compromessa fu trasferita all’ospedale Santobono di Napoli dove venne operata ma ormai il danno cerebrale era in uno stato irreversibile tanto da procurarne poco dopo la morte. I genitori hanno donato gli organi della loro primogenita.