Donne di ‘ndrangheta. Madri, mogli e “capi”. Come Nella Serpa, cugina del temuto e irriducibile boss di Paola, Mario, condannata a 18 anni di reclusione perchè ritenuta “reggente” del clan. O come Maria Luigia Albano, detta donna Gina, che veniva chiamata dai malavitosi del “locale” di Sibari “la padrona” per la funzione di comando che efficacemente svolgeva in assenza del coniuge, il padrino Giuseppe Cirillo. Mai è tuttavia accaduto che fosse una straniera a contare accanto a un boss. Edyta Kopaczynska, condannata con sentenza definitiva a 6 anni per mafia, è nata in Polonia e mai, da bambina, avrebbe immaginato di ritrovarsi al centro di tante attenzioni. Prima perché moglie d’un “mammasantissima” temuto e determinato, Michele Bruni e, poi, perchè custode di tanti segreti.
Quand’era a fianco del marito tutti le portavano rispetto e ogni suo desiderio sembrava un ordine. Poi l’hanno abbandonata e derisa. Nessuno voleva più ascoltarla, nessuno metteva piede in casa per chiederle consiglio. Da “regina” s’è improvvisamente ritrovata ad essere neppure considerata una “ serva”. Non era più niente. E così, la “straniera” che aveva sempre nascosto i suoi segreti dietro due occhi azzurro mare e una parlantina da vecchia comare, ha deciso di “cantare”. Edyta conosceva i retroscena di delitti e misfatti compiuti nell’ultimo decennio nel Cosentino. Sapeva dei legami che il marito aveva con i “compari” di Paola, Isola Capo Rizzuto, Crotone, Vibo Valentia e Casal di Principe. E aveva in testa la mappa disegnata dal coniuge e dai “capi” delle altre cosche per imporre a tappeto il pagamento del “pizzo” agli imprenditori di Cosenza, Rende, Montalto, Castrolibero e Mendicino. Ed era consapevole dei moventi di omicidi efferati consumati nell’area settentrionale della regione.
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