È davvero improbabile ritrovarsi una donna polacca alla guida di un clan mafioso. Eppure, in Calabria, la realtà supera spesso la fantasia. E così, Edyta Kopaczynska, 36 anni, nata in una terra lontana anni luce dalle derive subculturali e dalla violenza delle cosche, è stata per qualche tempo “reggente”, a cavallo tra il 2008 e il 2011 della consorteria mafiosa dei Bruni di Cosenza. Un sodalizio delinquenziale, temuto e rispettato, fondato da Francesco Bruni “bella-bella” nella seconda metà degli anni 90 e di cui assunse successivamente le redini il figlio, Michele, divenuto nel 2002 compagno della “straniera”. I Bruni vantavano stabili rapporti con i casalesi e con alcuni gruppi mafiosi del Crotonese e del Vibonese. Edyta, in ragione del rapporto sentimentale intessuto con il boss, era messa al corrente di ogni mossa e, in assenza del compagno di vita e malavita, prendeva decisioni e gestiva denaro. È stata lei a raccontarlo ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri: «Ricevevo indicazioni da Michele durante i colloqui in carcere attraverso i “pizzini” che scriveva sulle confezioni dei biscotti e delle brioches che fingeva di mangiare...Quando era necessario davo gli stipendi e se venivano compiute delle rapine, come è accaduto in occasione di colpi consumati in danno di rappresentanti di gioielli, mi regalavano sempre dei preziosi».
La ’ndranghetista polacca ha pure riferito d’essere stata per un certo periodo proprietaria al 50 per cento di una impresa di pompe funebri. Già, perché il clan aveva pure deciso di esercitare il cosiddetto “racket del caro estinto” imponendo una sua “azienda” di fiducia in occasione della celebrazione di funerali. Aveva, proprio per questo, un suo affiliato che operava nell’ospedale dell’Annunziata (il più grande della provincia di Cosenza) che segnalava opportunamente alle famiglie che avevano perso un congiunto la ditta a cui affidarsi per organizzare il viaggio verso l’eternità.
Ed è proprio in relazione a questo ramo di “affari” che Edyta Kopaczynska ha reso ai magistrati inquirenti delle dichiarazioni particolarmente interessanti. «L’offerta di servizi di onoranze funebri – ha dichiarato la pentita – era completamente controllata dalla criminalità organizzata e, cioè, dalla cosca Bruni-Zingari e dalla cosca Lanzino. Tutti gli imprenditori del settore, tranne quelli legati ai clan, erano soggetti ad estorsione».
Poi la rivelazione, che sembra quasi esilarante: «Nel nostro territorio non esisteva un forno crematorio che serve anche per smaltire le casse da morto, i fiori e quant’altro concerne i servizi di onoranze funebri. Il più vicino ha sede in Campania pertanto Francesco Patitucci e il mio compagno, Michele Bruni, stavano organizzando un investimento, finanziato dagli imprenditori del settore, volto alla costruzione del forno crematorio. Patitucci aveva utilizzato tutte le sue entrature presso il comune di Rende, per fare passare la pratica. Il piano, però, è poi saltato perché Michele è stato arrestato». Insomma, se non l’avesse rivelato la compagna del boss cosentino (morto in carcere nel giugno del 2011) nessuno avrebbe mai immaginato che la ’ndrangheta, oltre ad infiltrarsi negli appalti e nelle amministrazioni pubbliche mira a far fortuna e soldi pure con i... forni crematori.
Edyta Kopaczynska ha già deposto in molti processi di mafia e vive dal 2013 sotto protezione in una località protetta insieme al figlio avuto da Michele Bruni. È stata la prima donna polacca condannata per associazione mafiosa (sei anni di reclusione) da un tribunale italiano. Della cosca di cui era stata in alcuni periodi persino “reggente” (con il consenso del compagno) non è rimasto più niente.