I “dannati” del pronto soccorso sono sempre lì, ingoiati da un girone infernale che indigna quanti chiedono soltanto il rispetto dell’universale diritto alla salute. All’Annunziata la situazione non è purtroppo cambiata, soprattutto in quel reparto che rappresenta la più grande e affollata “trincea” dell’ospedale cittadino. Le motivazioni di quel caos quotidiano sono sempre le stesse: l’atavica carenza di personale sanitario, l’elevata percentuale di accessi impropri, la decisiva assenza d’un filtro territoriale degno di questo nome, una struttura come il Dea che non riesce a garantire il miglior servizio possibile nonostante l’età contenuta. Restano uguali e identici anche i disagi sofferti dai pazienti, costretti spesso e volentieri a prolungate quanto snervanti attese. Gente in molti, troppi casi abbandonata a se stessa, lasciata per ore e ore su barelle di fortuna in mezzo a decine e decine di avventori. Uomini e donne ai quali vengono ogni giorno negate privacy e dignità, facendo venire meno i sacrosanti diritti di chi sta già vivendo momenti difficili.
Medici e infermieri fanno quello che possono, c’è pure un nuovo primario chiamato a svolgere un compito non esattamente semplice. Ma nulla sembra mutare rispetto a quella deriva che da tanti anni sta condizionando l’intero sistema sanitario calabrese.
Ne sanno qualcosa gli sventurati pazienti e i loro rispettivi familiari giunti in pronto soccorso nel corso delle ultime ore, accatastati in una sala d’attesa che assume con frequenza le sembianze d’un lazzaretto. Clamoroso quanto accaduto a una signora di mezza età colpita da una pancreatite. La donna, affetta da una patologia estremamente sfaccettata e dall’evoluzione spesso imprevedibile, ha dovuto aspettare ben tre giorni prima di essere ricoverata. Dopo tutto quel tempo trascorso in pronto soccorso, un posto è sì saltato fuori ma non nel reparto più “ferrato” per la pancreatite (cioè la gastroenterologia) bensì nell’unità operativa di medicina generale.