Cosenza
La ’ndrangheta omofobica. La mafia calabrese non tollera l’omosessualità tra i propri affiliati considerandola una “debolezza” e un “vizio” imperdonabili. Ciò in ossequio al principio di “ominità” – ben definito dallo scrittore Mimmo Gangemi – che sovrintende, invece, alle vicende pubbliche e private di boss e picciotti. Un principio che fa della mascolinità il punto cardinale del “valore” d’un “uomo di rispetto”.
La sera del 18 maggio del 1990 in una via centrale di Gioia Tauro venne assassinato a colpi di pistola il titolare di un negozio di abbigliamento: si chiamava Ferdinando Caristena. Due killer arrivarono in sella ad una moto, con i volti coperti dai caschi e lo uccisero all’interno dell’esercizio commerciale. Caristena che aveva un passato da omosessuale ed aveva perso per malattia il compagno – in quegli anni era ancora difficilissimo fare outing ed essere accettati – s’era successivamente legato ad una donna imparentata con la potente famiglia mafiosa dei Molè.
I due, come si scoprirà dopo il delitto, si erano “fidanzati”. E proprio questa non trascurabile circostanza segnò il destino terreno del commerciante. A raccontare i retroscena della vicenda è stato l’ex killer pentito della cosca, Annunziato Raso, detto “Tito”, di Rosarno. La deposizione resa da quest’uomo, responsabile di 47 tra omicidi e tentati omicidi, è illuminante sia sulla matrice del crimine e sia su come l’omosessualità viene vissuta nella mafia calabrese. Raso, infatti, pur avendo già confessato crimini immondi, disse all’allora pm Roberto Pennisi che l’incalzava in aula, di «vergognarsi» di parlare di questa storia in pubblico.
«Onestamente dottore io non me la sento di dire sto motivo qua, non è nel mio carattere spiegare ste cose di fronte a signore...non è nel mio carattere...». E al magistrato che gli chiede spiegazioni sulla ritrosia è quasi costretto a dire: «Mi vergogno...perché lui era omosessuale...lo si doveva uccidere per quel motivo lì». Raso, che pur ha ucciso tanta gente senza pietà, mostra una singolare forma di pudore mafioso nel parlare di omosessualità.