Voleva semplicemente comportarsi da buon padre, sostenendo col sudore della sua fronte il figlio emigrato in Toscana per motivi di studio. Un desiderio naturale, frustrato però da un’improvvisa crisi di liquidità dovuta al ritardo d’una finanziaria nella rinegoziazione d’un mutuo. È iniziato così, nell’estate dello scorso anno, il calvario d’un uomo caduto all’improvviso in un incubo apparentemente senza uscita. Il genitore, affranto e preoccupato, s’è quindi confidato con un suo conoscente, il titolare d’un deposito di autovetture nel cuore della zona industriale di Rende. Proprio il contatto con il 51enne Roberto Citro – è questa la ricostruzione accusatoria validata dal gip Giusy Ferrucci – avrebbe spinto il padre alla disperata ricerca di denaro per il figlio dentro una torbida storia segnata da un prestito usuraio a tassi folli, vicenda sfociata pure in un’ipotetica estorsione. Il 51enne si sarebbe così messo a disposizione, segnalando alla vittima che dei fantomatici imprenditori potevano prestargli quei 3.500 euro che servivano alle impellenti necessità del figlio. A un patto, però: a quella somma da restituire interamente andavano aggiunti, a titolo d’interessi, ben 500 euro per ogni mese trascorso prima del saldo. Il padre accetta, prende il denaro e risolve momentaneamente i suoi problemi. Dopo qualche mese di silenzio riceve una telefonata da Roberto Citro che lo invita a raggiungerlo nel deposito di autovetture. Lì trova, oltre al conoscente, anche un’altra persona che pare proprio essere il creditore. Gli incontri si ripetono e nonostante le promesse di rientrare col debito (lievitato ormai a 6.500 euro) la vittima si ritrova in un altro mare di guai: a causa della normativa anti-riciclaggio il suo conto corrente viene bloccato, impedendogli di onorare il prestito. A quel punto sarebbero iniziate le minacce e dopo qualche settimana lo spaventato genitore scopre che il secondo interlocutore non è l’imprenditore che gli era stato prospettato, ma il cugino di Roberto Citro, il 48enne Francesco Citro. Quest’ultimo, per far capire al debitore che non c’era da scherzare, avrebbe addirittura detto che quel denaro serviva anche alla sovvenzione di alcuni detenuti. E se non fosse riuscito a pagare, gli avrebbe preso l’automobile per risolvere la faccenda una volta per tutte. La vittima è sempre più impaurita, inizia a registrare telefonate e conversazioni e decide infine di rivolgersi ai carabinieri di Rende. Proprio in caserma riceve una telefonata dei cugini, ascoltata in presa diretta dai militari dell’Arma agli ordini del comandante provinciale Fabio Ottaviani e del capitano Sebastiano Maieli. A causa dell’insolvenza del creditore, i due presunti “cravattari” avrebbero deciso di rivalersi con il veicolo della loro vittima. Imposizione che il diretto interessato deve alla fine rispettare. Quello che i cugini Citro non sanno è che ogni loro passo è attentamente seguito dai carabinieri, coordinati dai magistrati guidati dal procuratore capo Mario Spagnuolo. Quando un militare dell’Arma si finge acquirente dell’automobile usata come “garanzia”, la rete della giustizia è ormai tesa. Il titolare del fascicolo d’inchiesta, il pm Donatella Donato, e il procuratore aggiunto Marisa Manzini invocano l’arresto in carcere sicure di aver raggiunto sufficienti indizi di colpevolezza. Richiesta accolta e notificata ieri mattina a Francesco e Roberto Citro, ammanettati e trasferiti nel penitenziario bruzio di via Popilia in attesa dell’interrogatorio di garanzia.