È una favola dell’orrore che comincia sempre di sera, spesso di notte, davanti a un computer acceso collegato alla rete. E comincia sempre allo stesso modo, con adolescenti inquieti che giocano di nascosto con le loro vite senza neppure saperlo. La Blue Whale (la “Balena blu”) è l’ultima tentazione, una specie di contaminazione di massa con conseguenze serie per i partecipanti. Molti sono spinti dalla curiosità, ma poi proseguono, accettando prove insensate, verso il traguardo dell’autodistruzione. Anche la studentessa di Cosenza aveva cominciato così, ispirata da un messaggio ricevuto nella chat personale del suo profilo social. Un invito a partecipare a una nuova challange, costruita attraverso un percorso ad ostacoli, con esami severi, di grande coraggio. E lei, quella sfida l’aveva accettata, superando il primo test, poi un altro e un altro ancora, rischiando di finire stritolata in mezzo a uno di quei gruppi della morte che si muovono nella galassia virtuale promuovendo il suicidio. Dieci, cento, mille, nessuno conosce la consistenza di queste legioni di fanatici che, sfruttando le passioni e le competitività dei più giovani, riescono ad assumerne il controllo della mente, soprattutto le menti più fragili, costringendoli a compiere gesti di autolesionismo. Si chiamano “curatori” ma in realtà sono degli “untori” perchè diffondono il contagio della follia.
La ragazzina di Cosenza era andata avanti, aveva superato diverse prove, e ad un’amica aveva confidato: «Tra pochi giorni non ci sarò più...». Un messaggio d’addio codificato dalla compagna di classe che ha avvisato i genitori e immediatamente è stata attivata la procedura con l’intervento della polizia e la fine dell’incubo. La madre della ragazzina probabilmente si era già accorta dei comportamenti mutati della figlia e s’era allarmata. Ma lei stessa, l’adolescente finita nella trappola psicologica del suo “curatore”, ha raccontato d’essersi resa conto di quello che stava facendo, del male che si provocava con quei tagli, del disegno della balena, ma anche di non essere in grado di lasciare, di abbandonare quel gioco al massacro di cui era diventata vittima. Una balena che è rimasta, fortunatamente, in acqua, evitando di spiaggiarsi come avrebbe voluto il suo tutor che ora viene braccato dalla polizia. I detective del questore Giancarlo Conticchio stanno esplorando le piste informatiche nel tentativo di isolare il pc dal quale il messaggio iniziale del curatore è partito. Al lavoro anche gli esperti della Polposta. All’esame anche il telefonino della studentessa per verificare se ci sono stati anche contatti attraverso l’app di messaggistica.
Il lieto fine di questa vicenda è legato al coraggio dell’amica di svelare la confidenza ricevuta. Le denunce servono ad allargare i confini di questo nuovo fenomeno che investe la galassia giovanile. Una delle tante emergenze del mondo dei ragazzi, maschi e femmine schiacciati da un disagio spesso invisibile che s’abbatte improvvisamente, come un flagello, sulle loro tenere esistenze. L’inchiesta cosentina, che è coperta da comprensibili silenzi, consolida le ipotetiche ragioni di questa deriva sociale già emersa in altre preoccupanti storie con giovani che finiscono sempre nei guai. Motivi, spesso diversificati, quasi fosse un bisogno, una necessità dell’età evolutiva. Ma è probabilmente l’insoddisfazione la bussola che guida le nuove generazioni in mezzo ai pasticci. Bravi col mouse ma, forse, eccessivamente ingenui al punto da farsi irretire dai falsi messaggi che circolano su internet. Sono parte di una generazione fragile, adulti con la faccia di bambini. Purtroppo, sono tante, troppe le trappole che s’annidano nel cyberspazio. Un mondo troppo grande nel quale i ragazzini non possono essere abbandonati senza guide.
Sembrano tutti uguali, creati con il medesimo stampo. Sono i giovani, i protagonisti della generazione 2.0, la generazione del web. Parlano solo in chat e comunicano con il mondo intero. Raccontano le loro emozioni, i loro pensieri, le loro idee, confessano i loro segreti ma lo fanno solo su internet. Navigano tutto il giorno nell’etere quasi fosse un gioco, un divertimento. Ridono e scherzano a colpi di mouse o con i telefonini. I social network si sono sostituiti negli ultimi tempi ai vecchi schemi relazionali dando vita a una società muta, che non sa più parlare, non sa esprimere emozioni. Una società che sa solo messaggiare. La rete è diventata un mondo alternativo a quello reale, un mondo possibile, ma anche un mondo pieno di rischi. Tante, troppe insidie che affiorano dalla rete. Troppi pericoli per i nativi digitali.
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