Sfiorare la morte, l’orrore. In una sera qualunque, in una delle più grandi città del mondo. E salvarsi solo per un caso. Perché la tua squadra del cuore ha perso, e tu sei passato proprio lì appena un poco prima, appena appena per salvarti (anche se non per metterti al sicuro: è stata comunque una nottata di terrore e di ansia). È l’incredibile storia di una giovane calabrese, Anna Sergi, 32 anni, di Rende.
Anna, che è criminologa e vive a Londra, dove è vicedirettrice del Centro di Criminologia della University of Essex, sabato scorso è sfuggita a uno degli attentati che hanno colpito, ancora una volta, la Gran Bretagna. L’azione inconsulta di tre folli che hanno travolto la gente a caso sul London Bridge, e poi sono scesi a seminare il terrore, coltelli alla mano.
Lo ha raccontato lei stessa, scrivendo sul “Guardian”, uno dei più autorevoli quotidiani britannici, la sua testimonianza. Parole dense e drammatiche, ma anche lievi e ironiche, restituendo quell’ironia stessa della vita, quando combina le coincidenze e ci fa muovere attraverso le “sliding doors” del destino.
«La tua squadra perde 4-1 la finale di Champions. Odi Ronaldo. Cammini sul London Bridge alle 9.45 di sabato sera», ha raccontato al giornale londinese la trentaduenne calabrese, a mo’ di diario. «Ti fermi per una foto. Dopo otto anni in questa città vuoi ancora fare foto al London Bridge. Sono le 21.54. Vai al Boro Bistro, posto carino con i tavoli fuori giusto sotto il ponte, al Borough Market. Ti siedi e ti sfoghi con gli amici, tutti juventini. Ordiniamo un whisky. Ci vuole qualcosa di forte dopo una partita così. Mentre scegli tra un Jameson e un Lagavullin, senti un botto. Sulla tenda sopra la tua testa rimbalzano una bici e un corpo. La bici si spezza in due. La gente intorno comincia a muoversi in fretta. Vedi qualcuno avvicinarsi al bar con la camicia bianca insanguinata. Poi appare un altro che cerca di raggiungerlo con un coltello, cerca di raggiungere chiunque. È la follia. Vai nella cantina del ristorante, chiudi la porta, fa caldo, il cellulare non prende. Una donna non smette di piangere, tu resti calma. Speri solo che non usino la parola “terrorismo”, la tua famiglia si preoccuperebbe da morire. Dopo un’ora nella cantina, qualcuno scherza sulle bottiglie di vino da rubare. Nessuno sa cosa sia successo: un incidente? E l’accoltellamento? Le due cose sono connesse? Speri non sia terrorismo ma sai che lo è. La criminologa che è in te ricorda che il terrorismo è teatro. Poi la polizia ti fa uscire. Vedi tre corpi coperti. Vedi gente che piange. Ti dicono di allontanarti. Ammiri l’efficienza, e sei arrabbiata con Theresa May e le sue politiche da ministra dell’Interno, una strategia che puntava tutto sulla sorveglianza e sembrava demonizzare le comunità musulmane, ma tagliava i fondi alla polizia. Pensi alle elezioni, a come tutto possa andare fuori controllo. Cammini tra altri zombie come te. Vorresti essere a casa. Ora. Ma prima ti fermi per un whisky con gli amici. Non riesci nemmeno a parlare. Poi prendi il treno per casa, da sola. Piangi. Finalmente. E realizzi che se la partita della Juve fosse andata ai supplementari, saresti stata sul ponte nel momento esatto dell’attacco. Alle 22.08».
Anna Sergi ha poi tranquillizzato i suoi cari via sms. Per fortuna dormivano già e hanno appreso dell’ennesima strage terroristica solo l’indomani. Quando la notte di terrore e i gol salvifici di Ronaldo erano già storia.