Cosenza

Lunedì 29 Aprile 2024

'Ndrangheta, la famiglia Muto divisa dalla scelta del rito

'Ndrangheta, la famiglia Muto divisa dalla scelta del rito

Il boss ha scelto il processo col rito ordinario. A 78 anni ha puntato tutte le sue fiches sull’opportunità del rito. Sul suo casellario è già stampato un giudicato per reati simili, al massimo l’eventuale nuova condanna costituirebbe motivo di continuità con conseguente sconto sulla pena finale. Strategie che hanno portato il patriarca della ’ndrangheta di Cetraro a non seguire il cammino dibattimentale del resto della famiglia. Lui, Franco Muto, il capostipite dell’onorata società del Tirreno cosentino, davanti al quale tutti s’inchinano, comparirà in Tribunale, a Paola, il prossimo 19 ottobre. Il resto della famiglia, invece, ha puntato tutto sull’abbreviato. Non è un abbandono ma si tratta di strategie. La moglie del boss, donna Angelina Corsanto, il figlio Luigi e il genero Andrea Orsino, hanno scelto il giudizio alternativo. Si presenteranno davanti al gup distrettuale di Catanzaro per essere giudicati con l’abbreviato, un percorso processuale che consente di saltare l’istruttoria dibattimentale (e di ottenere lo sconto di un terzo della pena). In ordine sparso, dunque, i Muto giungeranno alla sentenza. Una valutazione che riguarda complessivamente le 77 persone coinvolte nelle due inchieste “Frontiera” e “Cinque lustri”. Tra di loro c’è anche l’imprenditore calabro-romano Giorgio Barbieri. Proprio il costruttore a capo della holding di famiglia sarebbe stato protagonista di una scalata nel settore dei lavori pubblici in Calabria. Nel Cosentino e nel Reggino, in particolare. Ma mentre a Gioia Tauro si sarebbe limitato a fare da prestanome alla cosca dominante, a Cosenza avrebbe preteso di gestirli direttamente, attraverso il ricorso a una ragnatela di subappalti. Il suo ipotetico legame con Muto gli avrebbe consentito di lavorare senza la pressione del racket locale. Alla fine, il “Re del pesce” sarebbe, addirittura, entrato in società in alcune attività imprenditoriali del gruppo Barbieri. Un business che avrebbe prodotto fiumi di quattrini sfociati nelle ricche “bacinelle” di due potenti famiglie mafiose calabresi. Così la ’ndrangheta sarebbe diventata padrona di tutto in Calabria. Padrona, soprattutto, delle grandi opere. Lavori imponenti che venivano gestiti dal gruppo Barbieri. Secondo il procuratore distrettuale Nicola Gratteri e il pool di magistrati che ha investigato il sistema delle gare insieme ai detective delle Fiamme gialle, Giorgio Barbieri non sarebbe stato vittima dei boss ma un alleato. Un “amico”, in particolare, dei Muto. Di Franco, di donna Angelina e di Luigi.

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