C’è un “bug” difensivo nel programma informatico capace di sviluppare il traffico telefonico. Un tracciato invisibile che aveva delineato i contorni delle accuse a Emanuele Bruno e Andrea Martucci, inchiodati dalla Dda al ruolo di presunti complici nel duplice omicidio che segnò lo spartiacque tra la fine del regno degli zingari e l’inizio della dominazione dei Forastefano nella Sibaritide. La debolezza dell’algoritmo telematico e delle dichiarazioni dell’ex boss Tonino Forastefano e Samuele Lovato sono stati i temi sviluppati dal qualificato collegio difensivo (formato dagli avvocati: Giuseppe Di Renzo, Enzo Galeota, Giancarlo Pittelli e Nicola Rendace). Argomenti decisivi per l’assoluzione dei due imputati. Secondo il gup Antonio Battaglia, l’unico responsabile certo della morte di Fioravante Abbruzzese ed Eduardo Pepe sarebbe proprio Tonino Forastefano (difeso dall’avvocato Claudia Conidi), condannato a venti anni di reclusione. Era stato proprio lui, l’ex boss di Doria, a narrare l’ipotetica trama della strage. Forastefano individuò il movente del massacro nella strategia di controllo degli affari illeciti nella Sibaritide. Nello scenario tracciato dall’ormai ex pentito, Martucci avrebbe spiato tutti gli spostamenti di Pepe e di Abbruzzese per verificarne le abitudini e individuare la zona più adatta per l’agguato. Forastefano, invece, si sarebbe occupato della preparazione dell’auto utilizzata dal commando e delle armi. Tutti e tre gl’imputati sarebbero saliti a bordo della Lancia Thema utilizzata dal commando. Tonino Forastefano alla guida e gli altri due pronti a sparare. Il luogo scelto fu la Provinciale, davanti all’ospedale di Cassano. E fu così che, intorno alle 20.30, Pepe e Abbruzzese furono assassinati. Una ricostruzione che, evidentemente, non ha convinto il giudice.
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