Il loro rapporto era simile a quello che intercorre tra due fratelli. Due uomini cresciuti praticamente insieme, fianco a fianco, prima compagni di giochi e poi attivamente impegnati in lucrosi affari criminali. Le strade di Marco Perna e Luca Pellicori si sono tuttavia divise nei mesi scorsi, quando Pellicori ha invertito il corso della sua vita iniziando il suo percorso di collaboratore di giustizia. Un pentimento ritenuto fondamentale dagl’inquirenti soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione del traffico di stupefacenti, business che il 40enne avrebbe gestito per anni proprio accanto al figlio del mammasantissima Franchino Perna.
E “Marcuzzo” è proprio il principale protagonista delle “cantate” di Luca Pellicori, architrave del processo “Apocalisse” nel quale sono adesso coinvolti il rampollo dello storico boss bruzio e i suoi presunti sodali, pentito compreso. Dichiarazioni scottanti, al punto da spingere Marco Perna a rivolgersi all’avvocato dell’ormai ex amico con parole che lo stesso legale ha ritenuto intimidatorie: «Dica a Luca Pellicori che Marco Perna gli manda un abbraccio, anzi un bacio con la lingua». Pellicori, tra l’altro, ha detto ai magistrati dell’Antimafia che “Marcuzzo” era in procinto di fuggire in Brasile per scampare all’ormai imminente arresto.
Di problemi con la giustizia, del resto, Marco Perna ne sta avendo parecchi. Oltre al blitz “Apocalisse” del novembre 2015 – cioè l’inchiesta che ha assegnato al figlio dell’irriducibile padrino un ruolo importante e per certi versi autonomo nell’universo criminale cosentino – è di due giorni fa l’ultimo colpo sferrato dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania. Secondo i magistrati siciliani, Perna avrebbe rappresentato uno dei canali di rifornimento dello stupefacente per un gruppo affiliato a Cosa nostra etnea. Un legame nato grazie ai contatti stretti da tempo tra il rosarnese Giuseppe Giosafatte Elia e Pasquale Francavilla, quest’ultimo ritenuto dagl’investigatori tra i principali luogotenenti di “Marcuzzo”. Un patto nel nome della “roba” già emerso nei mesi scorsi attraverso un’altra inchiesta antimafia, condotta questa volta dalla Dda reggina. Marco Perna, che si trovava agli arresti domiciliari, è così tornato nuovamente in carcere.
Della centralità di Marco Perna nello spaccio di stupefacenti in città aveva già parlato un altro pentito, Silvio Gioia, ex pusher pienamente inserito in quelle dinamiche. E adesso c’è anche l’ultima “gola profonda” che potrebbe dare nuove informazioni e nuovi riscontri alla magistratura. Il suo nome è Vincenzo De Rose, spacciatore attivo più che altro nel centro storico e finito al centro dell’inchiesta “Job Center”. Nonostante De Rose non abbia fatto parte integrante del gruppo Perna, il 33enne avrebbe già descritto l’influenza del figlio di Franchino nel grande business della droga.
Le inchieste antimafia degli ultimi anni hanno portato alla luce un episodio che avrebbe potuto avere pesanti ricadute sul tessuto criminale della città. Secondo le ricostruzioni accusatorie, Marco Perna avrebbe sottratto 80mila euro dalla cosiddetta “bacinella” dei clan, la cassa comune nella quale confluirebbero i proventi delle cosche federate bruzie. Uno sgarbo intollerabile per Maurizio Rango, l’uomo che negli scorsi anni si sarebbe ritrovato al vertice della piramide ‘ndranghetistica cosentina. Tanto da spingere i vertici della cosca dominante a mettersi in moto per chiudere una volta per sempre la “pratica” Perna. L’agguato ai danni del figlio del mammasantissima sarebbe stato però fermato – a raccontarlo è il pentito Adolfo Foggetti – dallo “zio”, Rinaldo Gentile, vecchio ‘ndranghetista stimato da tutti i gruppi criminali attivi sulle rive del Crati.