La ’ndrangheta e la politica andavano a braccetto da quando avevano celebrato quello strano matrimonio nei boschi della Sila. Il legname era un buon affare per le ditte delle cosche e i terreni comunali rappresentavano un vivaio fertile, una dote importante per boss e imprenditori compiacenti, specie quando si poteva contare sulla collaborazione degli amministratori. Collaborazione che, per svariati motivi, non era poi così difficile da ottenere. L’idea che col legname si potessero fare i soldi venne a Cataldo Marincola, di 56 anni, figura di spicco della cosca cirotana, attualmente detenuto nel carcere di Sulmona in provincia de L’Aquila. L’affare era abbastanza interessante per le cosche cosentine e crotonesi. Con le entrature giuste nelle amministrazioni comunali – nella fattispecie quelle di Mandatoriccio e di San Giovanni in Fiore – si potevano lucrare elevati profitti sia dalla vendita del legname da ardere, che del cosiddetto cippato da biomassa. Il padrino cirotano – secondo quel che racconta ai magistrati antimafia il pentito Francesco Oliverio – aveva disposto che a sovrintendere la gestione delle ditte boschive del territorio silano fosse Vincenzo Santoro, di 52 anni, altrimenti noto come “u monacu”, originario di Crotone ma residente a Mandatoriccio in provincia di Cosenza. Santoro aveva svolto egregiamente il compito che gli era stato affidato mettendo su un vero e proprio cartello d’imprese che era in grado di determinare l’aggiudicazione delle gare d’appalto indette dagli enti, proprietari dei terreni boschivi, a un prezzo di poco superiore alla base d’asta.
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