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Traffico di droga, lavori pubblici e voti nella “cassaforte” del clan degli zingari

Traffico di droga, lavori pubblici e voti nella “cassaforte” del clan degli zingari

COSENZA

La Sibaritide è ancora oggi una terra disperata. Un paradiso che la ’ndrangheta, con i suoi traffici maleodoranti, ha trasformato in un inferno. Comanda su tutto, ormai. Comanda sulla politica, sul commercio, sugli appalti. Comanda anche sulle vite degli uomini che ci abitano. Tutto è cosa loro, cosa dell’unico clan padrone da Rocca Imperiale a Rossano. Un mandamento fuori dalle leggi dello Stato che si estende anche all’interno, fino a Castrovillari, fino ai confini della Valle dell’Esaro, fino a Cosenza. Un pezzo di Calabria enorme saldamente nelle mani degli zingari. Un potere svelato negli anni da inchieste e sentenze. Proprio in questi giorni si sta celebrando a Cosenza il processo in Assise contro i due presunti assassini di Cocò, del nonno Peppe Iannicelli e della sua amica straniera, Betty Touss. Cocò era un bimbo di tre anni che venne ucciso solo perchè era diventato uno scomodo testimone. Un testimone di quindici chili che avrebbe potuto incolpare l’assassino del nonno, un uomo di rispetto che aveva le mani in pasta nei traffici di droga. E si guardava, non solo dagli “sbirri”. Sapeva che quella roba può creare problemi a chi la caccia senza autorizzazione. È la trama esplorata nel dibattimento dal pm antimafia Domenico Assumma che, col procuratore distrettuale Nicola Gratteri e l’aggiunto Vincenzo Luberto, si affaccia da tempo ormai sul pozzo nero del malaffare nel regno degli Abbruzzese. Perché lì, da oltre vent’anni, comandano solo loro anche se il capo, Franco inteso come Dentuzzo, è in carcere. ma con lui dietro le sbarre c’è sempre stato qualcuno in famiglia in grado di dare ordini. Fino al 2002 c’era suo fratello Fioravante e fu ucciso. 

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