Entravano in ruolo i finti professori: conquistavano un posto di lavoro con attestati, più o meno credibili, costruiti su misura, senza aver frequentato alcun corso o studiato un’ora soltanto. Ci figuri con quali competenze, poi. Visto che l’iter formativo era, assolutamente, virtuale, evanescente, irrituale. Si dica pure che non v’era alcun iter formativo. Eppure lavoravano. Insegnavano, trasmettevano un sapere che al di là delle nozioni, più o meno precise, era privo dei valori basilari, dei presupposti. In ogni caso: venivano assunti a tempo indeterminato, quei docenti.
Nella peggiore delle ipotesi andavano a scaldare la sedia d’una cattedra annuale in attesa dell’occasione buona. In attesa che la graduatoria scorresse, neanche tanto, per centrare l’obiettivo e chi s’è visto s’è visto. Era un sistema. Durava da oltre dieci anni eludendo i controlli. Era una prassi ben consolidata a giudicare dai numeri che stanno venendo su dall’esame sui computer del presunto stampatore d’attestati tarocchi come le borse griffate in vendita sulle bancarelle improvvisate in corso Mazzini. Alla fine i carabinieri della Compagnia cittadina – coordinati dal capitano Jacopo Passaquieti – hanno trovato il bandolo di quella matassa che, nei mesi scorsi, quando l’inchiesta è partita, sembrava abbastanza aggrovigliata.
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