L’algida Svizzera fa i conti con gli intraprendenti calabresi. Nella terra delle banche e del cioccolato chi vuol “tirare” cocaina di qualità deve aspettare l’arrivo dei “corrieri” spediti in missione dai boss nati e cresciuti nei paesi del Reggino.
L’inchiesta “Santa Cruz” conclusa l’altro giorno dalla polizia di frontiera a Verbania ne è la conferma più immediata. Tredici le persone incriminate dal pm Gianluca Periani. Al centro del business messo in piedi in Val d’Ossola c’era Giovanni Rosario Russo, 66 anni, originario del Reggino, già coinvolto negli anni Novanta in alcune operazioni anticrimine. Ingenti i quantitativi di stupefacente che dalla Calabria arrivavano al nord per rifornire gli spacciatori in numerose piazze di Piemonte, Lombardia ma anche in quelle della vicina Repubblica elvetica. La “polvere bianca” proveniente dal Sud America – Bolivia e Colombia – veniva poi “tagliata” e immessa sul mercato. Russo per sfuggire alle intercettazioni e comunicare con i “compari” rimasti nella regione di origine e con i complici in settentrione, usava una cabina telefonica e non il telefono cellulare. I guai giudiziari già sopportati e l’esperienza maturata, l’avevano indotto a prendere costanti precauzioni. Non s’era accorto, però, che i poliziotti gli stavano addosso già da tre anni, da quando nel 2015 usando un passaporto falso aveva tentato di entrare in Bolivia. La polizia latino-americana l’aveva bloccato e respinto nello scalo aereo di Santa Cruz della Sierra. La città boliviana non è un posto qualsiasi: negli anni ‘80, il giudice reggino Enzo Macrì aveva scoperto un via vai di contadini del reggino che raggiungevano per «vacanza» il centro sudamericano tornando poi in Calabria con le valigie cariche di droga.
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