Le transenne incorniciano il disordine sul marciapiede e dai muri di quel bar, di via Caloprese, esploso, poco dopo l’una e trenta, di sabato scorso si stacca un’impercettibile caligine che s’incolla alle narici provocando una sensazione, strana, più che altro di paura – nonostante lo scampato pericolo – più che di cattivo odore.
I periti hanno compiuto più d’un sopralluogo.
In tutto quest’ambaradan di calcinacci e ferraglia, di polvere nera e vetri sbriciolati, pare sia emersa la quasi certezza che i clan non c’entrino nulla. Padrini, picciotti e reggipanza – a lume di logica – hanno altre modalità di persuasione, altri registri di comunicazione per convincere i negozianti alla corresponsione delle rate del mutuo della tranquillità. La cosiddetta ’ndrangheta, si presume, non abbia avuto alcun ruolo in questa storia di botti, fuochi, crolli e presunte strategie della tensione.
Le indagini condotte dai carabinieri della Compagnia cittadina – coordinate dal capitano Jacopo Passaquieti – in ogni caso non trascurano alcun particolare e tengono in considerazione tutti gli elementi che gli specialisti dei militari dell’Arma e dei vigili del fuoco hanno rilevato sul luogo del disastro.
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