Quella dei “Bella bella” era, ormai, una cosca ridotta al nulla, demolita dalle morti e dalle inchieste giudiziarie. L'ultimo ad arrendersi fu Luca Bruni. Ma servì una trappola per farlo capitolare. La sua resistenza lo aveva reso, agli occhi degli ex alleati, un problema. Anzi, a un certo punto era il “problema” dei nomadi nella terra di mezzo di questa città. C'era lui, Luca Bruni tra il clan degli zingari e la definitiva conquista di Cosenza. Cercava di starci, con un manipolo di fedelissimi, là in mezzo, rivendicando la storia della sua famiglia costruita attorno ai meriti di suo padre, Francesco, e del fratello, Michele. Ma la storia è storia e i nuovi capi non si guardano mai indietro. Per loro, Bruni era il passato. E sarebbe stato per questo che, a un certo punto, avrebbero interpellato anche gli italiani per decidere. E tutti avrebbero votato per l'eliminazione. E dopo il suo omicidio, in città sono rimasti solo loro a comandare. Padroni assoluti della città. Trame nere che sgorgano dall'indagine che aveva messo nei guai Ettore Sottile, Francesco Patitucci e Roberto Porcaro. Che ieri sono stati giudicati, col rito abbreviato, dal gup distrettuale Giovanna Gioia. Patitucci è stato condannato a trent'anni di reclusione. Assolto, invece, Porcaro che, per il pm antimafia Camillo Falvo, sarebbe il presunto reggente degli “italiani”. Il non doversi procedere è stato pronunciato nei confronti di Sottile perchè in passato, la Corte d’assise d’appello di Catanzaro aveva escluso, nei suoi confronti, l’incriminazione per l'omicidio del “reggente” dei Bruni. Gl’imputati sono stati difesi da un agguerrito e qualificato collegio difensivo formato tra gli altri dagli avvocati: Luca Acciardi, Luigi Gullo, Marcello Manna, Cesare Badolato, Sergio Rotundo e Antonio Sanvito.
Il pm antimafia Falvo ha acceso i riflettori sul business delle nuove “coppole” e dei loro reggipanza che costituisce lo scenario all’interno del quale sarebbe maturata la decisione di sbarazzarsi di Bruni jr. E così Luca Bruni venne invitato da “amici” a un appuntamento e assassinato dopo il tradimento dei suoi storici alleati. Il suo cadavere venne poi seppellito nelle campagne di Castrolibero, a due passi dal capoluogo bruzio.
Per l’omicidio erano stati già condannati Maurizio Rango all’ergastolo, e i collaboratori di giustizia Adolfo Foggetti (6 anni), Daniele Lamanna e Franco Bruzzese (entrambi a undici anni). Il pm Falvo aveva chiesto l’ergastolo per tutti e tre gl’imputati mentre i legali di Sottile avevano invocato il riconoscimento del ne bis in idem perchè esisteva già un giudicato (quello della Corte d’asise d’appello) nei confronti del loro assistito.