Voleva sedersi al tavolo della gente che conta Michele Bruni. L’erede della famiglia “Bella bella” (deceduto negli anni passati a causa d’un brutto male) aspirava ad avere un posto di primo piano nell’ambiente criminale del capoluogo bruzio e desiderava, pure, un pezzo di quella ghiotta torta delle estorsioni, del traffico di droga e di tutte le attività satellite che fruttavano bei quattrini ai clan che all’epoca controllavano l’area urbana cosentina e la costa tirrenica. E poi c’era l’omicidio del padre che gridava vendetta. Quel sangue del capofamiglia, che aveva inzuppato il sedile d’una Mercedes marrone, a poche centinaia di metri dall’ingresso del carcere di via Popilia, da cinque anni attendeva d’essere lavato come si conviene nell’universo delle ’ndrine.
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