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Alla ricerca della verità nel canyon della morte

Alla ricerca della verità nel canyon della morte

La tragedia, adesso, è vivere e non morire in questo borgo dopo la strage degli escursionisti. Da mercoledì sera, il Raganello è un gigantesco “corpo di reato” a cielo aperto. I carabinieri hanno completamente sigillato tutti gli accessi verso il torrente. Non ci saranno più gite per adesso. Niente più turisti, niente più pane. A Civita si viveva di quello. C’erano guide, albergatori, ristoratori, affittacamere, autisti delle navette, ciceroni. Qui tutti erano riusciti a inventarsi un impiego e avevano imparato a campare con quel torrente che lunedì ha portato improvvisamente la morte. Troppa gente ha perso la vita dentro quel garbuglio di rocce. E, adesso, bisogna capire il perchè. Il capo dei pm di Castrovillari ha avviato un’inchiesta contro persone ignote configurando ipotesi di reato che vanno dall’omicidio alle lesioni, dall’inondazione all’omissione d’atti d’ufficio. Il passo successivo è stato il decreto di sequestro che servirà a preservare quei luoghi che verranno ispezionati dai consulenti tecnici. Poi, c’è l’inchiesta del prefetto, Paola Galeone, che dovrà invece svelare eventuali inadempienze di carattere amministrativo. Due indagini con il medesimo obiettivo: raggiungere l’approdo della verità in tempi relativamente brevi.

Intanto, a Civita non c’è più nessuno. Dopo le passarelle televisive dei giorni scorsi, i politici sono spariti. E non ci sono più nemmeno soccorritori e giornalisti. Sono andati tutti via sena neppure aspettare d capire se ci sono responsabili. Le guide storiche invocano il regolamento mai attuato, il capo della Prociv calabrese, Carlo Tansi, rivendica un’allerta gialla disattesa, il sindaco di Civita, Alessandro Tocci (insieme ai suoi colleghi di San Lorenzo Bellizzi, Cerchiara di Calabria e Francavilla Marittima), è diventato custode del percorso in attesa degli accertamenti peritali che dovranno accertare eventuali responsabilità. Giampiero Sammurri, presidente nazionale di Federparchi ha provato a fare chiarezza sui temi principali di questa vicenda: «I parchi non hanno alcuna competenza nel regolamentare accessi per la sicurezza delle persone. Possono, però, riservare porzioni di territorio, particolarmente delicate dal punto di vita ambientale, ad escursioni organizzate direttamente dall’ente attraverso le guide del parco. Questa modalità, oltre a garantire la qualità del servizio e il perseguimento degli obiettivi educativi dell’area protetta, può favorire anche la sicurezza dei visitatori. In natura non esiste il rischio zero, ma esiste sempre e per alcune attività è più elevato e per altre meno. Sulle Alpi ogni anno muoiono centinaia di persone, anche esperti alpinisti e guide. Ma si può attribuire la responsabilità a qualcuno che avrebbe dovuto segnalare che scalando una parete verticale o una cascata ghiacciata di 100 metri si può cadere? O che gli eventi meteorici in montagna possono essere repentini e molto intensi? A mio giudizio no. In ogni caso, utilizzando certi accorgimenti quando ci si muove in natura si possono ridurre i rischi, ma non portarli a zero».

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