La ferrea logica del “pizzo”. Applicata pedissequamente nell’area urbana dalle cosche bruzie che hanno raggiunto un sostanziale “equilibrio” e vivono in clima di pace e prosperità. Gli “italiani” lavorano gomito a gomito con gli “zingari” dividendosi i settori di interesse e di competenza. Gli omicidi sono ormai un lontano ricordo: nessuno ha interesse a suscitare allarme sociale e il ricorso all’eliminazione fisica di chi non rispetta le “regole” è limitato a casi estremi. Prima di spedire killer a sparare per strada, i nuovi “padroni” del capoluogo bruzio preferiscono mandare significativi “avvertimenti”: auto incendiate, pistolettate contro le abitazioni, pestaggi a sangue. Così, chi deve capire capisce...
I gruppi si finanziano attraverso l’imposizione del pagamento della “mazzetta” secondo uno schema che prevede l’esistenza di una cassa alimentata con versamenti fatti dalle vittime a Natale, Pasqua e Ferragosto. Una cassa a cui boss e picciotti attingono per alimentare l’usura, pagare le partite di stupefacente e assistere i detenuti. Il meccanismo è identico a quello individuato dai giudici del Regio Tribunale che, nel lontano 1903, processarono gli appartenenti alla “picciotteria” bruzia a quel tempo guidata da Stanislao De Luca. Oggi, come allora, ci sono “saggi compagni” a gestire le finanze della criminalità organizzata amministrando con parsimonia i soldi raccolti. Gli “esattori” della criminalità hanno approvato una sorta di prezzario del “pizzo” e stabilito una mappa precisa secondo cui il sistema di raccolta del denaro è organizzato. Le aziende impegnate nella realizzazione di grandi opere pubbliche devono versare alle cosche una percentuale variabile tra il tre e il quattro per cento dell’interno ammontare dell’investimento. Il pagamento – come rivelano recentissime indagini delle forze di polizia – è ovviamente dilazionato. Tutte le altre imprese, piccole e grandi, devono invece pagare una quota d’ingresso che può variare da 1000 a 10.000 euro e corrispondere poi delle quote fisse in precisi periodi dell’anno. Stessa discorso vale per i commercianti che versano mediamente come “imposta d’accesso” da 500 a 5000 euro. Al “sistema impositivo” non sfuggono gli esercenti cinesi costretti come gli altri a piegarsi ai voleri dei clan. Ai locali notturni vengono invece “consigliati” i sistemi per assicurare la sicurezza privata interna e la sorveglianza dei parcheggi. Il pentito Luciano Impieri ha fornito agli inquirenti un elenco di aziende costretta pagare la “tassa ambientale” e di cui si occupava personalmente, mentre il collaboratore Giuseppe Montemurro ha parlato diffusamente proprio del controllo esercitato dai clan sulle discoteche.
Soldi, soldi, soldi... In questa fase storica, peraltro, ingenti appaiono le spese da sostenere per garantire un minimo di appoggio economico alle famiglie di decine di uomini gravitanti in ambienti criminali finiti in manette nell’ambito delle indagini coordinate dal procuratore distrettuale Nicola Gratteri.
Le casse hanno bisogno di continua liquidità e chiunque svolga o promuove attività delinquenziali ed illecite deve dar conto ed offrire un “fiore” ai “capi” che governano il territorio che si estende da Cosenza a Rende, passando per Montalto, Mendicino, Marano Principato e Marchesato.
Il numero di collaboratori di giustizia nella nostra provincia ha raggiunto una cifra assolutamente unica rispetto al resto della Calabria. Sono ormai, rtra vecchi e nuovi, quasi un centinaio. Dopo il pentimento di Daniele Lamanna e Franco Bruzzese ha saltato il fosso pure Luciano Impieri che ha consegnato alle forze dell’ordine il “registro” delle storsioni nel quale appuntava con maniacale precisione le somme riscosse da commercianti e imprenditori. Si tratta di titolari di aziende che non hanno mai denunciato quanto accadeva loro. Rischiano tutti una denuncia per favoreggiamento. Non sfuggono alle dinamiche del “pizzo” le vasta aree del Savuto e della Valle del Crati, ricche di aziende che soggiacciono alle pretese dei maggiorenti mafiosi di quelle zone. Il pm antimafia Camillo Falvo sta lavorando alacremente per disarticolare le consorterie che si occupano del racket. Certo, senza la collaborazione delle vittime è difficile riuscire a compiere una complessiva opera di bonifica. La Dda, però, non molla
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