Non ci sono strappi nella memoria, non c’è modo di cancellare la storia del Covid nel Cosentino, terra dove hanno sofferto, lottato e sono morti donne e uomini, adulti, anziani e anche bambini. Qui, il virus cambiò la storia per la prima volta nell’aprile del 2020 quando il morbo fece irruzione negli ospedali dove la vita e la morte cominciarono a sfiorarsi con assurda costanza. Il morbo trasformò in fronti di guerra le corsie più esposte. Le mura dei luoghi di cura, senza strategie chiare e investimenti seri, franarono sotto l’assedio del male. E, nelle stanze della sofferenza dell’Annunziata e degli spoke della provincia i segni del virus che s’impossessava di vite umane diventarono sempre più evidenti. Con la pandemia è come se fosse calato il sipario sull’ospedale hub: niente rinforzi, nemmeno con le iniziative del Governo che, durante lo stato d’emergenza, aveva dato massima libertà nell’assunzione di nuovo personale. Ma l’Annunziata, in quegli anni, rinunciò ai rinforzi. E con gli organici ridotti e il conseguente, ulteriore, taglio di posti letto, con reparti accorpati, i malati furono costretti a rivolgersi a strutture lontano dalla Calabria.
La ricorrenza
Il 18 marzo di ogni anno (dal 2021) si celebra l’anniversario della strage del virus-killer. Una storia che ritorna spesso, che ci inchioda al presente di ospedali che continuano a rimanere sofferenti, che straripano di malati, soprattutto, nelle prime linee. Cinque anni fa, agli inizi di marzo, Cosenza veniva attraversata per la prima volta da quel fiume inquieto che avrebbe trasformato le nostre vite, le nostre storie, le nostre abitudini. I giorni e le notti di quegli anni segnarono il percorso del virus, dentro e fuori le nostre città, dentro e fuori i nostri ospedali. Un biennio difficile per medici, infermieri e operatori sociosanitari, angeli stremati dalla fatica che affrontarono quel demone sconosciuto nella trincea di strutture sotto assedio.