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Ursino e il Cosenza? Sogni ambiziosi

Campionato equilibrato, ma con 20mila tifosi allo stadio ogni cosa sarebbe più facile»

Giuseppe Ursino

Settantacinque anni oggi per Beppe Ursino. Gran parte della vita spesa seguendo la passione che lo ha segnato prima da bambino e poi da adulto. A Roccella Jonica, il paese in cui è nato, inizialmente ha mosso i passi di calciatore. «Ero un mediano», ricorda il dg del Cosenza. Un percorso interrotto presto, «a 26 anni». «Il presidente Ugo Ascioti mi disse che avrebbe voluto diventassi il direttore sportivo della squadra. Era il mio grande sogno». E da lì è cominciata la sua carriera. Le prime vittorie e l’approdo all’Adelaide Chiaravalle, in serie C2, sul finire degli anni Ottanta. Il preludio al lungo idillio con il Crotone.
Direttore, se dovesse scegliere una sola partita della sua lunga carriera da dirigente, quale conserverebbe?
«Non potrò mai dimenticare la gara di Modena, quella della storica promozione in serie A. Quel giorno ho coronato il mio sogno. Avevo l’obiettivo di arrivare in alto e vincere molti campionati. Al “Braglia”, durante il match, mi è sfilata davanti tutta la vita. Sono emozioni che conserverò per sempre».
Ma esiste un rammarico, qualcosa che avrebbe voluto fare e non ha fatto?
No, non ho nessun rammarico. Ho trascorso gran parte del mio tempo in una società che mi ha sempre dato tutto. Alla base del rapporto c’era la fiducia. Ho fatto tre campionati di serie A e conosciuto tutti i maggiori dirigenti, con tutti ho costruito un rapporto solido».
Rispetto a quando ha iniziato, in cosa è cambiato maggiormente il calcio?
«Dalla legge Bosman in poi è stata un’autentica rivoluzione. Il ruolo del direttore sportivo non è più quello di una volta. Il calciomercato è soltanto l’ultima componente. Adesso un direttore sportivo è prima di tutto un gestore dell’area tecnica. Deve provvedere a fare da collante tra calciatori e tecnico e la società. Spesso, scherzando, dico che molte volte mi è capitato di dover “allenare” i presidenti perché faticano a comprendere alcune dinamiche».
Guarascio è un presidente che deve essere “allenato” tanto?
«Per nulla perché si approccia con grandissimo entusiasmo. Ha voglia di fare bene e sono felice di essere al suo fianco. Ha un amore profondo per la squadra, per i tifosi e per la città. Per capirlo, è sufficiente sentirlo parlare con i membri del club. Vive con il desiderio di realizzare qualcosa di impensabile. Avverto la sua stima, una stima reciproca. Mi sono sempre considerato un “direttore di società”, vincolato al club. Oggi, ormai, tutti arrivano in un luogo e vanno via subito, a Cosenza è successo molto spesso. Io resterei per tanto tempo, purtroppo devo fare anche i conti con la carta d’identità. Soltanto per questo motivo ho preteso di firmare per un anno».
È nato a Roccella Jonica, ha trascorso molti dei suoi anni a Crotone. Arriva a Cosenza, ma qui non c’è il mare. Come farà?
«Le città bagnate dal mare hanno un richiamo forte per me, forse ancestrale, ma a volte mi isolo e scelgo la montagna. Lì vado quasi da eremita. Pertanto, penso che Beppe Ursino sia capace di adattarsi a qualsiasi ambiente».
Da rossoblù a rossoblù ma due club differenti. Come è cominciato questo nuovo rapporto dopo 27 anni con lo stesso partner?
«Mi sembra di essere tornato indietro nel tempo. Ho deciso di rimettermi in gioco, dopo due anni, perché sono fortemente motivato. Vorrei spaccare il mondo ma c’è bisogno di organizzare moltissimi aspetti per rendere la società perfettamente funzionante».
Chi la conosce, dice di essere rimasto sorpreso dal modo in cui ha fatto riferimento alla serie A durante la sua conferenza di presentazione. Cosa l’ha spinta a richiamare questo orizzonte?
«La convinzione. Ed è quella che nella vita è fondamentale avere degli obiettivi. Altrimenti non si ha mai presente la meta. Sono giunto dove sono con enormi sacrifici, perché al sud bisogna triplicare gli sforzi per ottenere gli stessi obiettivi che si pone il nord. Mancano le risorse economiche e per pareggiare il livello è necessario lavorare d’immaginazione. E così tenteremo di costruire una rosa in grado di riempire il “Marulla”. In 20mila tutto diventa più semplice».
Gennaro Delvecchio uomo giusto?
«Ne conoscevo il carattere perché ho provato a portarlo a Crotone in tre circostanze diverse ma adesso ho l’assoluta certezza che sia una scelta vincente. È irruento, capisce di calcio e ha tutto per raggiungere certi livelli. Ha avuto maestri come Corvino e Sogliano, non due qualunque».
E Alvini?
«Un allenatore ottimo. Ho sempre visto le sue squadre e mi hanno impressionato per il loro gioco. Le ultime due esperienze sono difficili da prendere in considerazione. In A, con la Cremonese, proponeva un calcio accattivante ma purtroppo non è mai semplice raggiungere i risultati in massima serie. Ha sempre vinto, umanamente ha qualità superiori».
In che posizione di classifica sogna di vedere il Cosenza al termine della stagione?
«Non voglio esprimermi ma spero di soddisfare le ambizioni del presidente Guarascio. Il prossimo sarà un campionato difficile ed estremamente equilibrato, verso l’alto. Bisogna pensare prima di tutto alla salvezza, poi playoff».
Se avesse l’opportunità di tesserare uno solo dei giocatori che ha portato al Crotone, quale riprenderebbe?
«Alessandro Florenzi perché è l’emblema dell’affidabilità. Un giocatore come lui non tradisce mai. Straordinario come persona e come calciatore. Ce ne sono stati tanti, però. Sono molto legato anche a Bernardeschi, Deflorio, Paro, Messias, Simy e Budimir. Un giorno, cinque dei miei sono stati convocati in nazionale, che soddisfazione».

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