Cosenza

Mercoledì 14 Maggio 2025

Cronaca di un disastro annunciato (da anni), i 354 giorni che hanno distrutto il Cosenza e Tutino: dal Sigillo della città al sigillo “tombale”

Sembrano trascorsi secoli, eppure - di giorni - ne sono passati appena 354. Ovvero meno di un anno, da quando Gennaro Tutino, in giacca e cravatta, sfoggiando il suo outfit migliore, varcava Palazzo dei Bruzi visibilmente emozionato, pronto a ricevere una delle onorificenze civiche più alte che possano esistere: il Sigillo della città. Un modo per celebrare le sue imprese calcistiche in riva al Crati oltre che una spudorata captatio benevolentiae nei confronti di chi di tutti, dopo Gigi Marulla, era (il verbo che richiama a un tempo passato non è usato a caso...) entrato nel cuore della tifoseria cosentina. Una cerimonia istituzionale e al tempo stesso emozionale (ed emozionante), con tanto di aperture da parte del giocatore a una sua permanenza e l'intenzione manifestata a chiare lettere dalla proprietà di volerci provare a tenere Tutino: «Stiamo lavorando per questo», disse il patron del Cosenza, Eugenio Guarascio, su sollecitazione del sindaco Franz Caruso. Sorrisi, applausi, strette di mano ma soprattutto pochissima consapevolezza di ciò che in realtà stava accadendo: dopo una stagione clamorosa di Tutino (mai un attaccante rossoblù si era attestato a quota 20 gol in un campionato di serie B) sarebbe stato praticamente impossibile trattenerlo di fronte alle sirene dei grandi club, nonostante le dichiarazioni di circostanza (dettate probabilmente dal ritenere impossibile, conoscendo Guaascio, un riscatto dal Parma). Ecco, l'ultimo barlume di felicità del popolo rossoblù è identificabile in quel 24 maggio di un anno fa, con una salvezza conquistata senza penare come gli altri anni e la prospettiva di aver cambiato status dopo sei anni di sofferenze. Con un Tutino in più nel motore.

Dove si buttano i sogni rotti?

Come direbbero i Pinguini Tattici Nucleari: «Dove che si buttano i sogni rotti?». E il sogno del popolo rossoblù è durato il tempo di una sessione di mercato in cui, al netto proprio del riscatto temporaneo di Tutino, sono stati subito apparsi chiari due aspetti: Gennaro sarebbe stato solo di passaggio un giocatore   “tutto” rossoblù; i soldi guadagnati con la cessione (plurirateizzati) non sarebbero serviti a foraggiare il mercato del Cosenza. Ad alimentare, sin da subito, la frustrazione, è poi arrivata la mazzata della penalizzazione: un fardello aritmetico (4 punti in meno in un campionato come la B, per una squadra che deve salvarsi è più di una mezza condanna alla retrocessione), ma soprattutto psicologico, che è rimasto appiccicato addosso ai rossoblù di Alvini I, Tortelli-Belmonte e Alvini II, fino al de profundis della gara contro il Sudtirol che ha rappresentato il sigillo tombale. Tra l'avvio con handicap e la fine ingloriosa, ce ne sarebbero tante altre da dire: dal maldestrissimo tentativo di rosicchiare qualcosa agli organi di Giustizia sportiva, alle clamorose dimissioni del dg Peppe Ursino (alla vigilia di un derby contro il Catanzaro!), alle ammissioni del presidente Guarascio sulla possibile cessione (mai suffragate da un atteggiamento di apertura reale da parte del patron di voler cedere a chicchessia), alla scelta di effettuare un mercato invernale insufficiente nonostante l'ultimo posto in classifica a gennaio. Per non parlare dei trattamenti imbarazzanti riservati al settore giovanile e alla squadra di calcio femminile, della scelta di bandire i commenti sotto ogni comunicazione social del club, delle querelle con gli steward e con il Comune (tornata in auge solo ora, ma si trascinava da anni), del depauperamento silenzioso ma inesorabile del parco collaboratori del club, del derby perso stramalamente e dell'ascesa della dottoressa Rita Scalise ad amministratrice unica del club, ecc. ecc. L'entusiasmo sprigionato dal quel 24 maggio dello scorso anno è stato scientificamente smontato, pezzo dopo pezzo, fino ad aver annichilito anche l'ultimo atomo. Resta solo l'orgoglio di una tifoseria che seguirebbe il Cosenza anche in Terza categoria, il resto è una magone grande così, che ormai da mesi avvolge e domina chi ha il lupo tatuato nell'anima.

C'è chi non se la passa meglio

E Tutino? Aver cambiato aria non gli ha giovato. Anzi. Complice anche un grave infortunio, l'attaccante napoletano non ha potuto incidere affatto sulla stagione di una Sampdoria culminata con una clamorosa retrocessione in C: la prima della sua storia. Un disastro, se si considerano le prospettive iniziali, con i blucerchiati che promettevano sfracelli.

L'ennesimo autogol (forse) sulla strada della cessione

Un disastro completo, per tutti. La novità di queste ore è la lettera di addio - ma con il patron Guarascio certezze non ve ne sono - che ha annunciato l'imminenza della chiusura della trattativa di cessione del club. Un passo decisamente tardivo, che fa ancora più male, ma forse può rianimare quell'entusiasmo di una piazza affranta, distrutta e umiliata come non mai nell'ultimo anno. E anche nella comunicazione di congedo, Guarascio è riuscito a commettere un clamoroso autogol: quella che doveva essere un'assunzione di responsabilità si è trasformata in un elenco delle “meraviglie” compiute anche quest'anno - sì, anche quest'anno! - dalla proprietà, quasi come a voler farsi commiserare. Quasi come a voler dire: «Io ci ho provato con tutto il cuore, ma è andata male». Ecco, su questo proprio non si può bluffare. Perché se davvero Guarascio ha messo cuore e passione durante la sua gestione, è stato talmente discreto che non se ne è accorto proprio nessuno.  

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