Voglio essere onesta. Sono una divoratrice del Re del Terrore su pagina, bianco e nero, balloon e tutto il resto. Compreso quell’odore misto di colla per brossura e stampa alla prima sfogliata. E, in generale, non so mai se mi fa piacere l’approdo sul grande schermo. Di nessuna cosa che ho letto. Ché temo di veder violata la sacralità di storia e personaggi. E del mio immaginario. Ma Diabolik l’hanno preso in consegna Marco e Antonio Manetti… Eppoi ci sono i due precedenti episodi a far da garanti. E questo terzo capitolo, «Diabolik, chi sei?», da giovedì nei cinema, è esattamente la chiusura col botto che aspettavamo. «Diabolik: Chi sei?», nato dalla prodiga penna di Angela e Luciana Giussani – uscito il 4 marzo 1968 – per illudere la curiosità dei lettori di veder svelate le sue origini, il suo passato, ma rivelatosi un astuto e intrigante modo per aumentare l’alone di mistero che ha fatto grande il personaggio. Manco a dirlo, i Manetti bros. hanno fatto ancora centro. E non era semplice. Come sempre, la differenza sta nella cifra stilistica dei cineasti romani, nello studio approfondito che c’è – e si percepisce – dietro alla sceneggiatura. Nella costruzione del plot, del film, dei personaggi, delle ambientazioni, dei movimenti di macchina... E vien voglia di sbandierarlo ai quattro venti. Stiamo parlando d’un cinefumetto d’autore, orgogliosamente tutto italiano. Nessun accostamento, per piacere, ai blockbuster della Marvel: da una parte l’intrattenimento autoriale, dall’altro puro spettacolo, senza andar troppo per il sottile, anche rispetto agli albi firmati dal compianto Stan! I Manetti vogliono altro. Sono attenti e scrupolosi. Liberi nelle interpretazioni della narrazione, ma fedeli alle tavole fumettistiche giussaniane. Con garbo e originalità. Senza effetti speciali. Con un cast in stato di grazia (Luca Marinelli, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Monica Bellucci). Con l’autentica e genuina voglia di confezionare una storia intrigante e unica. Con una colonna sonora scandita dai toni funky e rhythm & blues e firmata da Pivio e Aldo De Scalzi, in cui fa capolino pure la voce calda e graffiante di Mario Biondi. E tutto questo fa rasentare la perfezione. Abbiamo sentito Antonio Manetti prima della proiezione di «Diabolik, chi sei?» al cinema Citrigno di Cosenza, organizzata in grande stile, come sempre, da Pino Citrigno, e con la presenza di Antonio Manetti che ha dialogato con il numerosissimo pubblico in sala. In una serata di autentico spettacolo, nota di immenso merito va anche alla Calabria Film Commission e al commissario straordinario Anton Giulio Grande che ha contribuito alla produzione del film. E poi, c’è un po’ di Calabria anche perché nella regione sono state girate alcune scene. Come siete riusciti a trasporre la dose di fascino espanso che le tavole di Diabolik si portano dietro? «Diabolik è una storia scritta benissimo dalle sorelle Giussani con personaggi sul filo del rasoio. Possono sembrare esseri negativi, o eroi. Ma anche positivi per i lettori e per gli spettatori, è un equilibrio complicato. Per fortuna, nella scrittura della nostra sceneggiatura eravamo consci di questi pericoli e Diabolik, che nella vita reale sarebbe un furfante, nei film e nella fantasia invece è un eroe, una persona come noi, anche perché è libero! E ha un animo più puro di molti altri di Clearville». Quanto vi siete sentiti liberi di usare licenze poetiche nel raccontare Diabolik? «Siamo partiti per essere fedeli al fumetto, ma ci siamo accorti che la fedeltà non esiste perché è tutto soggettivo. Io leggo in un modo, una persona legge in un altro. Noi siamo stati fedeli rispetto alla nostra visione di Diabolik e pian piano in questo terzo, soprattutto, un po' di libertà ce le siamo prese…». Allora è vero che il cinefumetto d’autore si può realizzare? «Sì, assolutamente. Cinecomic vuol dire film tratto dalla storia a fumetti. I fumetti sono un’arte molto bella, ce ne sono tanti e diversi, come sono diversi i romanzi e come sono diversi i film. Ci sono anche i fumetti d’autore… Quando fai un film, un cinecomic, una cosa è farlo dall’universo Marvel dei supereroi, con alti budget e tutto gonfiato, e un’altra è farlo da Diabolik, una storia europea, una storia italiana. E non è una storia di supereroi, è un noir e possiamo gestirlo diversamente». La trilogia di celluloide si chiude con l’episodio più letto, famoso, ristampato delle pagine del fumetto. Una sfida nella sfida? «Beh sì, questo numero 107 è uscito tanti anni dopo l’inizio di Diabolik, e in edicola forse è il più amato perché racconta le origini, e tutti volevano sapere da dove veniva. E noi abbiamo pensato di riportare questo numero in un film. Ed è una sfida, come sempre, ma noi siamo molto contenti della riuscita e siamo ansiosi di vedere come reagirà il pubblico». Dopo il “Diabolik: Chi sei?”, le sorelle milanesi non si sono di certo fermate… e i fratelli Manetti? «No, no, i fratelli Manetti continuano a lavorare e a fare film (sorride) perché è la nostra passione oltre che lavoro ed è difficile fermarci. Abbiamo già girato un altro film, siamo al montaggio, ed è completamente diverso perché vogliamo pure raccontare storie diverse dopo questi Diabolik, bellissimi, ma molto oscuri. L’abbiamo fatto tutto in Calabria, si chiama US Palmese, la squadra calcistica di Palmi, in provincia di Reggio Calabria, e raccontiamo una storia inventata su un giocatore, un campione di serie A che viene a giocare a Palmi». L’ultima, è una domanda colpevolmente off topic… Tornerà o no l’ispettore Coliandro? «Magari al cinema… Non è mai off topic! Siamo tra i primi fan di Coliandro. Noi lo speriamo. In questo momento i lavori e gli impegni ci hanno portato fuori dalle serie tv e anche da Coliandro. Così come anche a Giampaolo Morelli, però speriamo sempre di rifarlo. Coliandro è il nostro grande amore e non potrà finire mai».