Sarebbe utile chiedere all’esercito dei pedagogisti, degli psicologi e dei maestri di vita dalle svariate competenze a cosa sono utili quelle migliaia di corsi, contro il bullismo e la violenza, somministrati (sottraendo ore di lezione delle, noiosissime, discipline tradizionali) per compiacere i curriculum individuali e l’offerta formativa della scuola se poi, coloro i quali dovrebbero dar l’esempio delle buone pratiche fanno il contrario. Una premessa chilometrica per raccontare la triste storia (per non dire brutta e deplorevole) di cui s’è reso protagonista un docente, del liceo “Galilei” di Trebisacce, che approfittando del buio (e credendo di far cosa gradita, si presume, a qualche carrozziere della zona) ha arabescato, con una chiave, da un lato all’altro la vernice dell’auto d’un suo collega o se si preferisce del vicepreside pro tempore. Così: per gioco o per chissà quale altro ingenuo calcolo di smisurato rancore ha estratto una chiave dalla tasca e ha tirato una lunga riga sulla carrozzeria di quell’auto in sosta nel parcheggio della scuola. Sperava, in cuor suo (abbastanza ingenuamente) d’agire nella penombra e, dato l’orario, di non esser visto da nessuno: un po’ come certi bulli tredicenni che usano mezzucci da codardi per vendicarsi di banali scaramucce. Non aveva considerato, il docente che la penombra nasconde sempre, l’ignoto, l’imperscrutabile o più semplicemente una sorpresa: all’interno dell’auto, infatti, c’era una sua collega, che non è rimasta certo a guardare senza dir nulla. La storia – che per carità pelosa s’eviterà di raccontare nei minimi dettagli – è finita (non del tutto: s’è ancora lontani dal mettere un punto fermo) nella stazione dei carabinieri di Trebisacce. Da lì, nei prossimi giorni, partirà per raggiungere la scrivania del capo della Procura di Castrovillari. Leggi l'articolo completo su Gazzetta del Sud - edizione Cosenza in edicola oggi.