Vivono nella solitudine, nella disperazione, nella fame. Vagano seguendo le rotte delle disuguaglianze sociali in una città che a fatica riemerge dalle sue buone feste. Una vita difficile, sempre più in salita, fino all’ultima curva, fino all’ultima rampa. Uno strappo dopo l’altro scandiscono giornate tutte identiche, tutte vissute come se fosse l’ultima. Un tracciato infinito sul quale, di questi tempi si annida un altro inciampo, un altro nemico, quel freddo delle notti d’inverno che sembrano interminabili. Notti lunghe e silenziose col gelo che riempie le ossa dei più deboli, ossa prive di anticorpi. Nella città nascosta, quella gravida di odori e di miseria, vivono uomini e donne piegati e piagati dalla sofferenza e dall’indifferenza.
L’altra Cosenza è un miscuglio di lingue, di vite in cammino. È quel popolo di invisibili che nessuno osa censire, un popolo che fatica a sopravvivere nelle periferie sociali più remote, nel petto profondo di un disagio che non è più anonimo. La città sta scoprendo che non esiste più pudore, non c’è più vergogna davanti alla fame. Il pianto dei poveri è diventato lamento di massa. Una massa di miserabili con i volti scavati dagli stenti, gli occhi senza più lacrime, i corpi curvi e tremolanti.
Tanta di questa gente ha trovato un letto nei container di via degli Stadi, le case con le mura d’acciaio sistemate lì due anni fa dalla Protezione civile regionale grazie all’impegno e all’insistenza di Franco Corbelli e di Padre Fedele. Altri sono stati accolti nella casa di “San Francesco”. Ma tanti altri continuano a dormire per strada, dentro vecchie auto o in mezzo alle correnti d’aria di palazzi abbandonati e malsani della città vecchia. Spesso si tratta di intere famiglie, con bambini e anziani.
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