«Tutto il pescato del Tirreno era gestito dalla cosca Muto e tutti sapevano che dovevano rivolgersi a loro prima di fare qualsiasi affare». Lo hanno ripetuto più volte i diversi collaboratori di giustizia e i numerosi testimoni che sono stati sentiti nel corso del complesso processo “Frontiera”, quello scaturito dal maxiblitz che portò alla sbarra presunti capi e gregari del clan di Cetraro.
Un elemento che trova riscontro nell'iter processuale sia del filone che si sta celebrando con il rito abbreviato (giunto in Appello) che da quello dell'ordinario per il quale a fine estate è arrivata la sentenza di primo grado. Ma il verdetto dei giudici del Tribunale di Paola ha disegnato una nuova geografia criminale assolvendo dall'accusa di associazione mafiosa proprio Franco Muto, da sempre considerato l'indiscusso capo della potente cosca del Tirreno. In questo filone sono state comminate 30 condanne e 10 assoluzioni ma ci sono state anche assoluzioni eccellenti, come quella di Giorgio Barbieri l'imprenditore romano che si era aggiudicato appalti pubblici importanti come i lavori per la realizzazione di Piazza Bilotti a Cosenza, l'impianto sciistico di Lorica e l'aviosuperficie di Scalea.
Era accusato di far parte della cosca Muto e rispondeva del capo di imputazione 69 («partecipava ad una associazione per delinquere di stampo mafioso, armata, denominata “Muto”, già riconosciuta esistente, da ultimo, dalla Sentenza del Tribunale di Paola recante numero 209/06 del 16/9/2006, passata in giudicato»). E le novità non finirono qui: infatti è stata ridimensionata, poi, la posizione del “Re del pesce”: Franco Muto è stato assolto dal reato di associazione mafiosa e condannato a 7 anni e 10 mesi di reclusione per il capo 58, ovvero l'intestazione fittizia dei beni. Così, dopo quella sentenza i suoi difensori (gli avvocati Luigi Gullo e Nicola Guerrera) sono riusciti anche a far revocare il 41 bis e adesso Franco Muto - dopo anni di carcere duro - è tornato nella sua casa di Cetraro.
Ma, allora, chi è ora il capo della cosca Muto che comunque - sempre secondo questa sentenza - esiste?. A reggere il clan sarebbe quindi Luigi Muto, figlio del “Re del pesce” che finito nella stessa inchiesta ma già condannato in abbreviato. Padre e figlio, infatti, hanno scelto destini giudiziari diversi: Franco ha chiesto il rito ordinario; Luigi l'abbreviato, filone che è approdato in Appello. Ecco perché sarà importante anche l'udienza che si svolgerà oggi a Catanzaro dove il processo d'Appello per il rito abbreviato è ormai alle battute finali. Questa mattina si svolgeranno le ultime arringhe della difesa e poi sarà emessa la sentenza di secondo grado. Qui rischia grosso pure lo stesso Luigi Muto che in primo grado ha beccato una condanna a 15 anni e 4 mesi di carcere. Se dovesse essere condannato nuovamente si potrebbe confermare nuovamente il ruolo di Luigi Muto come capo della potente cosca di Cetraro che ha preso il posto del padre. In generale, comunque, ha retto l'impianto accusatorio ampiamente descritto dal procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro Vincenzo Luberto e dal sostituto Romano Gallo.
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