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Intreccio di famiglie e di malaffare, Cosenza divisa tra zingari e italiani

Cosenza

Il Cosentino è un grande intreccio di famiglie e di affari sporchi, una gigantesca fornace che vomita miasmi, una terra ostile nelle mani dei boss, piegata dal racket, inondata dalla droga, schiacciata dalle regole acide di una 'ndrangheta che non rinuncia ai suoi business. Sulla strada maestra dell'annuale rapporto del presidente della Corte d'appello di Catanzaro, Domenico Introcaso, si incrociano facce vecchie e nuove, nomi impastati in trame maleodoranti che si sviluppano in quest'area geografica del distretto.

Connotati utili a riscrivere la storia della mafia di Cosenza e provincia, in mezzo a trame insanguinate e velenose che coinvolgono coppole e reggipanza dell'“onorata società” di questa terra. Un impasto nero che investigatori e magistrati stanno provando a modellare attraverso inchieste che descrivono intese mai esplorate, con nomi nuovi di gente sconosciuta, sostituti dei sostituti di boss rinchiusi al 41 bis, aspiranti eredi che pretendono di trattare i grandi affari, giovani rampanti senza quarti di nobiltà mafiosa che ragionano come i capi.

Elementi che riempiono le informative dei detective della Dda e che delineano uno scenario investigativo a senso unico. Storie che raccontano tante altre storie, vicende vischiose con grandi appalti e grandi affari che i padrini cosentini avrebbero trattato attorno allo stesso tavolo. La bussola che guida il ragionamento della magistratura distrettuale è rappresentata dalle evidenze dei fatti che raccontano la storia dell'“onorata società” di questa terra. Un grande territorio con tre macro-aree criminali: Cosenza e provincia, la fascia tirrenica e l'area jonica con la polveriera della Sibaritide.

«Nel capoluogo, nel suo hinterland e nella zona centrale della provincia - ha spiegato il presidente Introcaso -, è stata accertata la presenza di più cosche di 'ndrangheta, dedite in prevalenza alle estorsioni, alla gestione del traffico di sostanze stupefacenti e delle armi, nonché all'usura e, storicamente, alle rapine». In città, poi, una galassia di bande alimenta il mercato della droga, contendendosi le piazze dello spaccio grazie all'attività di un esercito di pusher. «Sono gruppi che, tuttavia, non disdegnano porre in essere attività criminali classiche delle associazioni mafiose, ovvero il controllo del territorio, quella estorsiva e quella usuraria, anche al fine di reperire la liquidità necessaria all'acquisto di armi e droga». Il territorio è stretto in mezzo a due cosche: “Rango-zingari” e “Lanzino-Cicero-Perna-Patitucci”. Due famiglie e una sola “bacinella”.

Sul Tirreno comandano sempre i Muto. «La famiglia di Cetraro è retta da Franco, il “re del pesce” e suo figlio Luigi, considerato l'unico in grado di reggere la cosca al posto del padre. A Paola e Fuscaldo, invece, «assume rilevanza la cosca “Scofano-Martello-Ditto-La Rosa” che si contrappone a Paola alla cosca storica dei Serpa e a Fuscaldo al gruppo “Tundis”. Ad Amantea, invece, sono presenti due distinti gruppi criminali: “Gentile-Guido-Africano” e “Besaldo”. Non sono in conflitto per tacito accordo e cointeressenza in numerosi settori illeciti».
La difficile gestionedei tribunali

Quanto alla situazione dei tribunali, secondo il presidente Introcaso, «il distretto di Catanzaro si caratterizza per un indice di avvicendamento dei giudici del 15% annuo in modo che ogni progetto, tabellare o piano di gestione, resta di difficile attuazione. Il numero dei procedimenti pendenti per magistrato di primo grado è leggermente inferiore alla media nazionale (1.000 per magistrato), salvo che per i Tribunali di Castrovillari (1.180), Lamezia (1.078), Vibo Valentia (1.406). In materia civile - ha aggiunto il presidente Introcaso - si registra un incisivo abbattimento dell'arretrato, salvo che per i Tribunali di Lamezia (41%), Castrovillari (38%), Vibo Valentia (40%)».

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