Attorno a un tavolo siede un gruppo di trentenni cosentini. Si chiacchiera del più e del meno. Fino a quando qualcuno dice: «Ragazzi, ma quand'eravamo minorenni bevevamo?». A quel punto, c'è chi risponde: «No, io personalmente non ho mai bevuto né cercato di acquistare alcol nei locali». Qualcun altro, invece, afferma: «In realtà bevevamo; limitatamente, ma bevevamo. Ai diciottesimi, ad esempio, c'era il free bar, alle feste di Capodanno col biglietto d'ingresso era inclusa la consumazione alcolica e poi se ordinavi una birra in un pub mica ti chiedevano i documenti».
Il momento amarcord serve a far luce sulla situazione attuale. Perché, a leggere i dati, emerge che oggi (più di ieri) i giovanissimi bevono a dismisura. Non ci sono dubbi né incertezze.
Secondo l'ultimo report disponibile - il Rapporto epidemiologico alcol correlato del 2017 realizzato dalla Regione in collaborazione con l'Istituto superiore della sanità - in Calabria si registra uno dei più alti tassi di mortalità (6,04 decessi su 100mila abitanti) legato al fenomeno (il primato lo ha Catanzaro, segue Cosenza). Ed emerge pure che, a mettere a repentaglio la salute, sono proprio i giovani di età compresa tra gli 11 e i 17 anni (27,4% di sesso maschile; 15,5% di sesso femminile). «Ma se oggi un minorenne chiedesse un cocktail in un bar cosentino, glielo venderebbero?», si torna a chiedere al tavolo di cui sopra. Tra amici si ribatte così: «La risposta potrebbe essere scontata».
Comunque, al di là del capire come questi ragazzi si procurino da bere dal momento che è severamente vietato dalla legge somministrare e vendere alcolici ai minori di diciotto anni, è curioso chiedere loro perché lo facciano.
Via Alimena: sulla strada si crea un ingorgo, dati i numerosi giovani che vi soggiornano con bevanda in mano, incuranti, tra l'altro, di bloccare il traffico.
Valentina, sedici anni, studentessa liceale, ci elenca i cocktail che beve di solito: «Lo spritz, il cosmopolitan, rhum e coca, il moscow mule, la capiroska alla fragola». Dice anche che ha iniziato a conoscere i drink, che alla base hanno vuoi vodka o rhum vuoi prosecco e via dicendo, «alle feste, ai compleanni, perché sai è normale stappare in piazza alla mezzanotte, sbocciare insieme ad amici e ai compagni di classe, fare persino la sciabolata sulla bottiglia».
Luca, diciassette anni e studente al quarto anno di un istituto professionale, afferma: «Si inizia a bere senza accorgersene e poi diventa un'abitudine. Come fai a divertirti se non sei un po' ubriaco?».
Ad un altro studente, Mario, che tra pochi giorni compirà diciotto anni, chiediamo, invece, se i suoi genitori sanno che in questo momento è alla seconda birra. «Bisogna chiedere a loro», risponde, probabilmente da brillo. E glielo si chiederebbe sicuramente. In giro, però, di mamme o di papà, non ce ne sono.
Ad Alessia, diciassette anni, domandiamo, infine, se, visti i racconti dei suoi amici e il dilagare della malsana pratica del “binge drinking”, si sia mai ubriacata. «Una volta mi è successo - spiega la liceale -. Presi degli shottini a base di vodka e a poco prezzo. Sicuramente non è stata una sensazione piacevole quella che provai, non è di certo bello perdere coscienza e sensi, non capire più nulla; ma sarei anche bugiarda se dicessi che ora quando si esce ordino esclusivamente una coca cola: sto solamente un pochino più attenta».
Più si insiste con le domande - non solo su via Alimena, ma anche in altre vie e piazze frequentate dai teenager, millennials o generazione “z” - più, sfortunatamente, diventa difficile trovare un astemio.
Altrettanto complicato è imbattersi in un giovane ragazzo o in una giovane ragazza che prenda sul serio quei dati che gli snoccioliamo e che, pure, hanno a che fare con la tendenza a ritrovarsi coinvolti in incidenti stradali.
C'è una relazione sempre più stretta tra l'alcol e i minori, un legame che si sviluppa già alle scuole medie. L'età della prima assunzione si è abbassata. Adesso, la soglia è scesa a 11-12 anni. Troppo presto, troppo pericoloso. Gli sbarbati cominciano per gioco e finiscono presto per diventare schiavi del vizio. Ed è così che il rischio delle intossicazioni alcoliche riguarda sempre di più il popolo degli adolescenti.
Maria Francesca Amendola, responsabile del servizio alcologia dell'Asp di Cosenza, ad ottobre 2018, partecipò al tavolo della Commissione sanità, in Comune, suggerendo di «operare una scelta di campo e far rispettare le norme anche con ordinanze apposite o con l'affissione nei locali pubblici di una cartellonista appropriata».
Dopo due anni, la dottoressa si esprime in questi termini: «A seguito di quell'incontro le ordinanze certamente ci furono però nulla ad oggi è cambiato: c'è bisogno dell'intervento delle forze dell'ordine. Quello del consumo di alcol da parte dei minorenni è un problema allarmante per Cosenza e per il suo l'hinterland. Basta pensare alla mattina dello scorso 24 dicembre coi bar pieni di giovanissimi o al fatto che in città ci siano diversi distributori automatici: è necessario solo che uno del gruppo e della comitiva abbia 18 anni per acquistare alcol a volontà. La sensibilizzazione c'è, ad esempio come servizio pubblico collaboriamo con l'Università della Calabria che, su proposta dei professori Angela Costabile, Sebastiano Andò e Luigi Morrone, ha istituto per il 2019/2020 il master di secondo livello in “Dipendenze patologiche: approcci teorici e interventi in un'ottica multidisciplinare”, e, tra le altre cose, andiamo nelle scuole per attività di approfondimento su questi temi; tuttavia bisognerebbe, anzitutto, assicurarsi che nei locali e nei supermercati pretendano le carte d'identità».
Anche le telecamere di Tv7, il rotocalco di Rai 1, con Elena Stramentinoli, sono venute in città, nei locali della movida, dove nessuno chiede la carta d'identità ai tanti minorenni che vanno a bere. La messa in onda è prevista per la mezzanotte di oggi, su Rai 1.
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