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Cosenza, uccisero per vendetta: quattro ergastoli per gli assassini di Francesco Marincolo

Il tribunale di Cosenza

“Franco il biondo” venne assassinato la mattina del 28 luglio 2004, in pieno centro, a Cosenza. A “firmare” l’omicidio fu il boss Michele Bruni che intese così vendicare personalmente l’uccisione del padre avvenuta esattamente cinque anni prima a pochi passi dal carcere cosentino “Sergio Cosmai”. Puntando la sua calibro 9 contro la vittima che si trovava a bordo di un’auto in compagnia di un amico, Bruni prima di premere il grilletto, fissando negli occhi Francesco Marincolo, vomitò tutto il suo odio, dicendo: «Tu hai avuto il tempo di prenderti il caffè, a mio padre non glielo hai dato!». Per il “biondo” non vi fu scampo. L’uomo che era alla guida della vettura, Adriano Moretti, rimase solo incidentalmente ferito a una gamba. Si trattò solo di un danno “collaterale” perché Moretti venne scientemente risparmiato in quanto cognato di Gianfranco Ruà, “uomo di rispetto” della ‘ndrangheta bruzia in carcere ormai da 25 anni.

Tutte le fasi prodromiche e successive dell’agguato costato la vita a Marincolo sono state ricostruite dalla Dda di Catanzaro grazie alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia Edita Kopaczynska, moglie del boss Bruni e degli ex luogotenenti Daniele Lamanna e Adolfo Foggetti le cui dichiarazioni sono state utilizzate in sede di rito abbreviato dal procuratore Camillo Falvo per chiedere la condanna di tutte le persone coinvolte nel fatto di sangue. Tutte tranne Michele Bruni, morto in carcere nel 2012 per un male incurabile.

E il gup distrettuale, Alfredo Ferraro, ha inflitto l’ergastolo ai presunti complici del boss deceduto: si tratta di Umile Miceli, Giovanni Abbruzzese, Carlo Lamanna e Mario Attanasio. Dieci anni di reclusione sono stati invece comminati ai pentiti Daniele Lamanna e Adolfo Foggetti. Il nutrito collegio difensivo, composto dagli avvocati Antonio Ingrosso, Paolo Pisani, Marcello Manna, Luca Acciardi, Antonio Quintieri, Giuseppe Bruno, Giorgia Greco, ha contestato la ricostruzione accusatoria e contestato la credibilità dei pentiti. In proposito i penalisti hanno chiesto l’acquisizione di un post pubblicato su Facebook dal collaboratore Foggetti che si fa ritrarre con una mitraglietta giocattolo alla cintola mentre conta delle banconote che lancia sul divano di casa.

La scena “prodotta” dal pentito sembra avere come sottofondo una musica che celebra il protagonista del film “Scarface”. Il gup Ferraro non ha tuttavia inteso aderire alla richiesta difensiva anche se sulla vicenda il pm antimafia, Vito Valerio, che era presente in aula, ha annunciato l’avvio di accertamenti definendolo un «fatto grave». Certo, è singolare che un ex malavitoso per giunta pentito possegga un profilo pubblico su un social e si diletti a “postare” brevi filmati per così dire... discutibili. Contro la sentenza di condanna emessa ieri i difensori hanno annunciato ricorso in appello.

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