La violenza belluina. Esercitata in una fredda sera d’inverno inoltrato contro due donne, madre e figlia, colpevoli d’essere rispettivamente la cognata e la nipote d’un uomo di San Lorenzo del Vallo che aveva ucciso a colpi di pistola Domenico Presta, figlio dell’irriducibile boss della ‘ndrangheta cosentina, Franco, ora ergastolano.
Le vittime si chiamavano Rosellina e Barbara Indrieri e vennero assassinate il 16 febbraio 2011, in una palazzina di San Lorenzo del Vallo da due spietati sicari. Un anno dopo il duplice omicidio, Sylas De Marco, rimasto nell’occasione solo ferito, indica all’allora procuratore aggiunto antimafia di Catanzaro, Vincenzo Luberto, i nomi dei presunti sicari: Francesco Salvatore Scorza, trentaduenne di Castrovillari, e Domenico Scarola, 28 anni di Tarsia.
Il primo è figlio di Costantino Scorza, uomo ritenuto vicino a Franco Presta, coinvolto in un’operazione anti ’ndrangheta; l’altro è un perfetto sconosciuto. I due vengono arrestati e poi rinviati a giudizio. Il supertestimone conferma in aula le dichiarazioni rese durante le indagini e Scarola e Scorza vengono condannati al carcere a vita a conclusione dei processi di primo e secondo grado.
L’11 ottobre del 2017 la suprema Corte di Cassazione respinge i ricorsi presentati dal collegio difensivo facendo diventare definitive le condanne. I due imputati si sono sempre protestati innocenti, contestando la ricostruzione degli accadimenti fatta sia dai magistrati inquirenti che dai giudici delle Corti di assise di Cosenza e Catanzaro. A quasi tre anni di distanza dalla pronuncia del verdetto si registra un colpo di scena.
L’avvocato Mario Murano, difensore di Francesco Salvatore Scorza, ha infatti presentato istanza di revisione alla Corte di appello di Salerno, chiedendo la celebrazione di un nuovo processo. Nell’istanza il legale sottolinea l’esistenza di “nuove prove” a favore del condannato Scorza e stigmatizza una serie di errori commessi durante le indagini condotte per far luce sul duplice omicidio.
«Dall’esame complessivo degli atti processuali non può non rilevarsi» scrive il penalista romano «che l’iter investigativo si è rivelato anomalo e caratterizzato da gravi mancanze ed errori in massima parte irreversibili, che poi hanno finito per condizionare l’esatto accertamento della verità processuale, falsamente ancorata alla responsabilità di un imputato (Scorza) palesemente innocente».
I togati campani entro il prossimo ottobre si pronunceranno sull’ammissibilità della richiesta revisione.
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