Cosenza

Lunedì 25 Novembre 2024

Le mani del clan di Cetraro sul Tirreno cosentino: le redini della cosca Muto di padre in figlio

È ancora la cosca Muto a gestire affari e interessi sulla costa tirrenica cosentina? Anche se Franco Muto non è più l’indiscusso capo del potente clan di Cetraro? Sono questi gli interrogativi che il processo d’Appello dell’inchiesta “Frontiera” dovrà chiarire. Dopo pause forzate e stop causati dall’emergenza Covid, il prossimo 22 settembre inizierà a Catanzaro il secondo grado di giudizio per presunti boss e gregari della cosca. Qui le difese affileranno le armi per dimostrare, anche con maggiore evidenza, ciò che era stato cristallizzato dalla sentenza di primo grado emessa nel luglio del 2019 dal Tribunale di Paola. Si tratta del filone nel quale la maggior parte degli indagati aveva scelto il rito ordinario. Mentre si attende la Cassazione per il “Frontiera1”, ovvero quello in cui gli imputati scelsero l’abbreviato e tra questi proprio Luigi Muto, il figlio di Franco, che con quella sentenza - confermata in primo grado e poi in Appello - viene “consacrato” come il nuovo boss della cosca Muto, cioè come quello che ha preso le redini della “famiglia” mafiosa. Infatti il 5 luglio del 2019 il Tribunale di Paola, dopo diverse ore di Camera di consiglio, aveva emesso una sentenza che includeva alcuni colpi di scena. Si riconosceva il dominio del clan in particolare sul pescato, sul traffico di stupefacenti e sulle estorsioni confermando l’impianto accusatorio della Dda di Catanzaro che aveva ricostruito oltre venti anni di strapotere della cosca Muto comminando trenta condanne e dieci inaspettati. Ecco, quindi, alcuni verdetti inaspettati. Franco Muto non è più il capo della cosca: infatti, è stato assolto dal capo di imputazione 69 che era quello relativo all’accusa di associazione mafiosa; ma condannato a 7 anni e 10 mesi di reclusione per intestazione fittizia di beni, ovvero il capo di imputazione 58 «riconosciuta l’aggravante di cui all’articolo 416-bis-1e la contestata recidiva». Ciò significa che il “Re del pesce” è stato condannato per una gestione occulta - con l’aggravante mafiosa - dell’Eurofish, la ditta che si occupava della commercio di pesce fresco e surgelato, che era formalmente intestata ad Andrea Orsino ma per i giudici era in realtà guidata da Franco Muto. Un anno fa, poi, i giudici di primo grado hanno completamente assolto da ogni capo di imputazione Giorgio Ottavio Barbieri. L’imprenditore romano era accusato di mafia e di essere stato favorito dalla cosca Muto mentre si occupava dei lavori di realizzazione di importanti appalti pubblici, come quelli di Piazza Bilotti a Cosenza; degli impianti sciistici di Lorica e i lavori per l’aviosuperficie di Scalea. Ma per il Tribunale di Paola non è dimostrabile tale legame e quindi decade ogni accusa nei suoi confronti. Adesso, bisognerà capire che cosa succederà in Appello. Da un lato, quindi, molti dei presunti gregari del clan dovranno dimostrare la loro innocenza, dall’altra l’accusa insisterà invece sui capi di imputazione nei confronti di Franco Muto, di Barbieri e di altri assolti. La sentenza di primo grado di “Frontiera” (rito ordinario) ha comunque modificato la geografia criminale e fatto intravedere nuovi equilibri tra i gruppi criminali del Cosentino.

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